Navigando nel suono – Gianluca Becuzzi

Gianluca Becuzzi è un artista storico che non ha mai smesso di essere attuale. Attivo da quando ancora per contare usavo solo le dita delle mani non smette di stupirci per efficacia, fantasia ed intensità. In occasione dell’uscita di Black Mantra per St.An.Da records abbiamo quindi approfittato della sua disponibilità per un’intervista in cui percorrere su metodo, ispirazione e molto altro.

SODAPOP: 1984-2023, quasi quarant’anni di attività musicale. Ma l’impressione, ascoltando i tuoi lavori più recenti, è quella di un musicista tutt’altro che pacificato, un musicista curioso, molto spesso ispirato. Come strutturi il concept dietro ad una tua opera? Come nasce Black Mantra?

GIANLUCA: Ti ringrazio per le tue parole e confermo che di cercare suoni, comporre e pubblicare musica non mi stanco mai. Gli anni passano ma il mio entusiasmo non svanisce. Nel 2024 raggiungerò il traguardo dei quarant’anni di attività discografica e per questa importante occasione ti anticipo che ho organizzato uno speciale album celebrativo. Di più al momento preferisco non dire. Tutti i miei lavori partono sempre da un’idea, un concetto base al quale cerco di trovare una forma sonora congruente. Black Mantra non fa eccezione ed è il quarto capitolo della serie realizzata per Silentes/St.An.Da che sinteticamente descriverei come la ricerca sulla sacralità insita nel continuum sonoro. Nel merito del tema specifico ti dirò con maggiore precisione più avanti.

SODAPOP: Come vivi la musica nella tua quotidianità? Sei un ascoltatore onnivoro, selettivo, aperto? Come riesci a sfuggire al marasma e come a trovare ascolti corroboranti?

GIANLUCA: Sono sicuramente un ascoltatore curioso e vorace, coloro che fanno musica hanno il dovere di esserlo. Quelli che dichiarano: “…Non ho tempo per ascoltare i dischi degli altri…” mi fanno francamente pena. Non ascolto ‘di tutto’ perché farlo, per me, equivale a non ascoltare niente. Ho i miei gusti, la musica che amo appassionatamente e quella che, con altrettanta intensità, detesto. Per scoprire le novità più eccitanti utilizzo molti strumenti: recensioni su riviste e webzine, segnalazioni sui social e consigli degli amici fidati. È vero che, per far questo, oggi occorre impiegare più tempo e investire più energie rispetto al passato, le uscite sono numericamente aumentate a dismisura, ma io sono convinto che ‘la fatica’ contribuisca a dare valore al risultato e alla fine ‘chi cerca trova’.

SODAPOP: “… Vi ho portati tra le streghe di Salem (In Between), tra i monaci tibetani (Mana) e tra quelli ortodossi (Axis Mundi), questa volta risaliamo alle origini della drone music (Black Mantra)”. Che cos’è l’ispirazione per Gianluca Becuzzi? Quale la prossima tappa?

GIANLUCA: L’ispirazione per me è una sorta di epifania, un’illuminazione estetica. Avviene nel momento in cui riesci a collegare due o più principi e contestualmente intuisci la forma per rappresentarli, cosa che nel mio caso avviene attraverso l’organizzazione dei suoni. Quei suoni diventano così portatori del tuo pensiero. In fondo la musica, per come la vedo io, è filosofia che raggiunge la mente attraverso l’udito. La prossima tappa? Ancora non lo so, ci sono molti temi che vorrei esplorare: la musica rituale voodoo, alcuni aspetti della mistica islamica, certi miti sacri della cultura antica, altri dell’occultismo novecentesco. Gli spunti sono innumerevoli, alla fine sarò costretto a fare un sorteggio bendato (scherzo).

SODAPOP: L’unione fra pesantezza e profondità in Black Mantra presenta una massa sonora non indifferente, che immagino possa sprigionarsi in maniera interessante dal vivo. Quanta importanza hanno avuto in questo lavoro i concetti di profondità e di massa? Hai avuto degli ispiratori o degli spunti in quanti in questi anni hanno operato con i drone?

GIANUCA: Le masse sonore, i volumi, le dinamiche, i vuoti e i pieni, sono tutti concetti che riportano ad una dimensione plastica. Trattare il suono in termini scultorei è da anni una costante delle mie composizioni. Credo di essere in debito con Iannis Xenakis, soprattutto Persepolis, per questo modo di procedere. Nei miei ultimi lavori, quelli realizzati principalmente con le chitarre, questa idea emerge con maggiore evidenza perché la giustapposizione tra masse di frequenze sature a volumi sostenuti e sospensioni improvvise creano una dialettica basata sul massimo contrasto. Non c’è suono senza la sua assenza, questo è un principio da tenere sempre in considerazione. E comunque, in termini di guitar drone, non posso non citare come modello di riferimento i Sunn O))), a mio giudizio il più importante gruppo rock (se così si possono definire) degli ultimi vent’anni.

SODAPOP: Trovo che Black Mantra sia il tuo lavoro più rock che sento da anni a questa parte ma nel medesimo tempo è anche quello maggiormente collocabile a livello di tradizione etnica e culturale. È una convivenza che hai ricercato o un equlibrio col quale ti sei ritrovato a fare i conti?

GIANLUCA: È così giocoforza. In Black Mantra da una parte ho attinto dalla musica tradizionale indiana e dall’altra ho scelto di accostarle il suono che più identifica la cultura rock, ovvero la chitarra fuzz. È una scelta di contrasto semantico-culturale che ho compiuto consapevolmente ab origine. Va però chiarito un punto. La musica tradizionale indiana, più di altre, è stata il modello al quale hanno attinto le avanguardie occidentali per formulare la drone music, a partire da artisti dei ‘60/’70 come: La Monte Young, Alvin Lucier ed Eliane Radigue. In altro contesto, invece, il progressivo rallentamento del tipico riff sabbathiano, operato dal doom, ha condotto al cosiddetto drone metal. Ergo, l’accostamento di drone indiano e drone rock, che ho messo in scena con Black Mantra, non fa altro che risalire alle origini e svelare un processo meta-culturale da tempo in atto.

SODAPOP: Black Mantra sfiora i 100 minuti, come hai strutturato la divisione dei brani nei due dischi? È stata una mole ricercata sin dall’inizio della progettazione?

GIANLUCA: Questo tipo di composizioni richiedono tempi lunghi per svilupparsi e raggiungere il risultato percettivo desiderato. È nella natura stessa della drone music non essere riducibile a pochi minuti di durata. Ad ogni modo, come avevo già fatto per In Between, Mana ed Axis Mundi, anche in Black Mantra ho organizzato la tracklist in due CD, il primo contenente composizioni relativamente più brevi e strutturalmente definite, il secondo con composizioni più dilatate e informali. In ogni caso, il mio consiglio è di ritagliarsi uno spazio adeguato per poter ascoltare i due CD uno di seguito all’altro, con la dovuta concentrazione. Solo attraverso una modalità d’ascolto immersiva queste tracce raggiungono la loro resa ottimale.

SODAPOP: Com’è nata la collaborazione con Antonio Tonietti? Come vi siete mossi in studio?

GIANLUCA: Antonio è un amico e un collaboratore prezioso. Inizialmente ha modificato su mia richiesta le chitarre con le quali ho registrato. Le ha dotate di manici in alluminio, in alcuni casi ha sostituito i pickup e i circuiti più altri tipi di intervento. In un secondo tempo, quando l’ho invitato a suonare sul secondo dei due CD di Black Mantra, ha modificato una chitarra acustica baritono e un bouzuki allo scopo di ottenere un suono simile, ma non identico, a quello del sitar. Sono suoi gli ottimi interventi acustici che si possono ascoltare sull’album, compreso l’harmonium indiano che ha suonato magistralmente in un brano.

SODAPOP: Come pensi possa essere percepito un lavoro del genere in India? Hai delle conoscenze dirette con musicisti in loco oppure è un mondo troppo distante da raggiungere in questo senso?

GIANLUCA: Non ho contatti diretti con musicisti indiani ma non è questo il punto. Come ho spiegato prima, il mio scopo non è mai stato quello di fare una ricerca di carattere puramente etnomusicologico ma, al contrario, di creare un ibrido del tutto personale. Verosimilmente, un ascoltatore indiano medio troverà Black Mantra molto lontano dalla sua cultura. Nella mia collezione di CD ho però un’antologia di musica sperimentale indiana, prodotta da Unexplained Sounds Group, dalla quale si evince che l’India odierna non manca di musicisti che sperimentano con elettronica, elettroacustica e noise. Ecco, probabilmente quegli artisti potrebbero avere l’approccio giusto per ascoltare e comprendere la mia musica. E comunque, in conclusione, vale la pena ricordare che il continuum sonoro del drone è qualcosa di estremamente potente e ancestrale, capace di attraversare immani tempi storici e spazi geografici. E se vogliamo, in un certo senso, va anche oltre, visto che è possibile configuralo come un fenomeno fisico da sempre presente in natura.

SODAPOP: Ultima domanda, classica: sei designato curatore di un festival in due serate, quattro acts per sera e sei obbligato ad esibirti nelle due serate con progetti differenti. Che scaletta avrà il tuo festival e come lo chiameresti?

GIANLUCA: Drone Rex (drone’n’noise festival). Serata 1: Sunn O))), Boris, Divide and Dissolve, Phurpa, Gianluca Becuzzi (solo guitar impro). Serata 2: Swans, Godflesh, Ufomammut, Neptunian Maximalist, Becuzzi (songs set with friends). Sarebbe magnifico non credi?