Gianluca Becuzzi – Black Mantra (Standa, 2023)

L’India, la Dea Kali, “la nera”, i Thugs. Sembra un B-movie ma è una parte di una storia e di una mitologia, un ambiente nel quale Gianluca Becuzzi si cala dalla testa ai piedi, con un doppio disco che si preannuncia denso e grondante. Droni e voci, slanci pesanti che sembrano preannunciare l’apertura di una o più porte infernali. L’impianto strumentale scelto da Gianluca è lordo e pesante, e trasforma il mantra in una fucina ricolma di piombo. Percussioni, voci tradizionali e fumi sono dosati alla perfezione, con ambientazioni come quelle di Devotional Prayers che sembrano realmente trasportare un gruppo vocale indiano al Roadburn. L’unione tra due mondi così lontani sembra trovare il suo snodo nella dissoluzione, nella fine, nella rinascita attraverso una passione. La chitarra che si fa drone, i suoni senza un finale, un paesaggio che si fa via via più cupo e tetro. Con reminiscenze che ci trasportano ai passati wave di Gianluca come nel finale di Ancestral cogliamo riferimenti ampli, indizi da cogliere in un enorme ed oscuro discorso circolare. Sono flussi molto differenti fra loro, che a tratti cozzano dando un’enorme scossa come in una Dance And Revelation o semplicemente dando spessore e drammaticità ad una musica per mia conoscenza maggiormente eterea come quella indiana. The Last Guru Secret chiude il primo disco mettendo in evidenza la potenza di una splendida e misteriosa voce femminile, pronta a prendere lo spazio fra i suoni acuti in secondo piano, i rombi e la massa oscura che si muove lenta ma inesorabile.
Il secondo disco di Black Mantra ospita invece altri 3 lunghi brani: Kundalini Rising, Tantra e Bad Karma: mentre il primo si esprime con rintocchi di corde sopra un incedere basso e sordo che si fa sempre più plumbeo e buio fino a scomparire, lasciando le corde libere di risuonare fra un refolo sottile di suono. Tantra è un bordone che viene raddoppiato in tonalità sempre più acuta, gonfiandosi come un mantice minaccioso, per poi dipanarsi cheto fino a raggiungere il silenzio. Bad Karma tiene fede al proprio titolo: due minuti di venti freddi prima di uno stacco drammatico con dei toni cupi e lenti che movono la massa sonora verso lochi che profumano di spiritualità, di ascensione e di trance. Poi avanza, mantenendo due voci, una più grave ed una più acuta, fino a lasciare spazio alle voci umane che preparano al terreno all’ultima sferzata sonora. Un disco che sembra lavorare sulla massa, sul suono dei corpi e sull’incedere di queste entità in maniera affascinante ed alacre.