Avendo ricevuto il nuovo capitolo della saga di The True Endless a un po’ di tempo dall’uscita ed essendo cronicamente in ritardo con le recensioni mi ero ripromesso di parlarne alle porte dell’inverno, periodo quanto mai adatto alla proposta del terzetto novarese. Purtroppo l’arrivo dei primi freddi si è portato via la vita di Marco De Rosa che del gruppo era chitarra, voce ed anima: una grave perdita a livello umano per chi gli era vicino e incalcolabile sul piano culturale, per tutti coloro che erano venuti in contatto con la sua arte. Un fatto del genere potrebbe indurre a guardare con occhi diversi al disco ma in realtà non ve n’è ragione: l’idea di morte, spesso vista come passaggio, pervade le musiche e i testi di molti dei lavori in cui De Rosa ha lasciato la sua impronta (era attivo anche come Skoll e aveva militato negli Opera IX e in diversi altri progetti) e questo album non fa eccezione. Ottavo lavoro sulla lunga distanza in una discografia composta anche da una miriade di split, reharsal e live, Blacklight Inferno ripropone nella sua forma migliore quel suono scarno e potente che oltre ai prime mover del black metal scandinavo (Bathory, specie nell’indole epica, ma anche Immortal) guarda a certo thrash slayeriano e alla furia gelida dei Celtic Frost; un suono che privilegia i mid-tempo ma sa farsi valere anche alle alte velocità, dispiegando le proprie spire scure nel presente. In questo senso non è certamente un caso, vale anzi da conferma, la presenza di una leggenda in ottima forma come Andy Bull Panigada dei Bulldozer che presta la sua chitarra per gli assoli di The Fire Inside e Glorify The Reaper. Se la musica attinge al passato e attualizza quelle sonorità, ancor più profondamente i testi scavano nella storia per rinsaldare il legame con le radici, alla sincera ricerca di una visione del mondo non contaminata dal germe del monoteismo ma lontano dalla solita blasfemia a buon mercato. Senza il pesante (e talvolta pedante) intellettualismo dei Deathspell Omega i True Endless si rivoltano contro le tradizioni veterotestamentaria in Wings Of Wrath e neotestamentaria in I Drink The Devil’s Blood e Margoroth (che utilizza addirittura il dialetto per scagliarsi contro il Cristo risorto) mentre la grandiosa marcia di Pale Waves, che qualcosa concede alle ultime tendenze, evoca un tempo ciclico in cui il pesante sonno invernale è solo una stazione intermedia. Ben più presente è però l’idea di trapasso altrove, in bilico fra morte iniziatica e fisica senza che si possa dire con certezza a quale delle due alludano le parole, ammesso importi veramente e ci sia una differenza. Riferimenti a un percorso esoterico sono evidenti in The Fire Inside (“Arcane fires dancing in my eyes/I see through them, I learn through them/they flow through my veins/nourishing and killing me at the same”) e in Glorify The Reaper (“Kiss the mouth that can speak no more/drink from the water/of denied wisdom”) ma soprattutto nelle complesse liriche in italiano di Alchemica Unione, vero brano-manifesto nella sua tensione verso la ricerca di una sapienza dimenticata, raggiungibile solo attraverso l’estrema porta. Questi sono solo alcuni dei possibili rimandi a un album contenutisticamente assai complesso ma che tutto lascia pensare poter essere l’epitaffio di The True Endless. Cosa resta dunque, alla fine? Per i neofiti Blacklight Inferno può rappresentare un ottimo punto di partenza per esplorare a ritroso l’opera di uno dei nomi fondamentali del black metal italiano che forse non ha avuto i meritati riconoscimenti; per gli iniziati è il sigillo ad un percorso peculiare che va conservato e tramandato per chi vorrà attingervi alla ricerca d’ispirazione.