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Ka Mate Ka Ora – Thick As The Summer Stars (A Buzz Supreme, 2009)

"We are a slowcore – shoegaze band!" Ci pensa già il gruppo di Pistoia a scrivere il succo della storia di Thicks As The Summer Stars, esordio di grande spessore che attraversa in un ascolto solo le atmosfere di Slowdive e My Bloody Valentine (All Around), lo stile cupo e le fotografie sbiadite dei Red House Painters fino ad arrivare alle ultime cose tra Amusement Park On Fire e Gregor Samsa. I paragoni certo si sprecano, ma un lavoro del genere mixato e masterizzato da Mark Kramer (aka Kramer), già al lavoro con Low e Galaxy 500, ha una forza, una statica imponenza (Bonnie), e una padronanza di scrittura che sorprendono.

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Pink Mountaintops – 21/05/09 Interzona (Verona)

Dopo i recenti fatti di cronaca a Verona, se per strada uscendo da un pizzeria ti chiedono una sigaretta, un po' di disagio lo percepisci nel rispondere: "Mi dispiace, non fumo… ehm, non le ho". Soprattutto se poco prima hai fumato una sigaretta scroccata al tuo amico in parte. L'Interzona era ancora semideserto, ne ho approfittato per prendere una maglietta, visto che i CD  di Outside Love, il nuovo bellissimo album dei canadesi Pink Mountaintops, (capitanati da Stephen Mc Bean, con un buon 2/3  dei Black Mountain), erano già esauriti. Rimane solo qualche copia del precedente Axis Of Evol. La maglietta era semplicissima: tre lettere gialle sul petto, "PMT". Troppo da hippie l'altra, invece, con un bel 69 a caratteri cubitali. Acquistandola in fretta e furia, mi sono reso conto solo dopo che quel 69 che non volevo sul petto me lo sono ritrovato, ancora più grande, stampato sulla schiena. Pace fratelli, oramai l'acquisto era fatto e il concerto stava iniziando.

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Gregor Samsa – Rest (Own, 2008)

I Gregor Samsa tornano con un nuovo disco, dopo il bellissimo 55:12. Per fortuna non ripetono esattamente la formula con cui il loro nome ha cominciato a girare negli ambienti indie (dove invece la ripetizione, ahimè… è di casa), anche perché sarebbe stato difficile doppiare un disco così bello: e non cambiano neanche troppo, restando così in equilibrio nel mezzo e indovinando le carte per non annoiare ma allo stesso tempo non deludere, mossa che li mostra intelligenti da un punto di vista musicale, e allo stesso tempo felicemente fuori moda nel non mescolare postfunk o postfolk o qualche altro trend al loro suono.

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Radar Bros – Auditorium (Merge, 2008)

Dopo la mezza delusione di The Fallen Leaf Pages (che era tutt'altro che un disco brutto) torna un invecchiato Jim Putnam e tornano i Radar Bros, tra i gruppi migliori della scena slo core dal '93 ad oggi (in compagnia di Idaho, Red House Painters e Low), senza però che siano mai riusciti a raccogliere in pieno i frutti di ciò che hanno seminato (ad esempio il fatto di saper guardare ai Pink Floyd  rimaneggiando placide strutture folk legate alla tradizione americana). Il mondo cambia, e loro si ostinano in un immobilismo che anche il fan più incallito (come il sottoscritto) arriva a non reggere più.

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