Sun Cousto – Imaginary Girls (Chruüsi Müsi, 2024)

Il seguito di Satan and I Walking under a rainbow l’avevo aspettato a lungo, considerando come l’esordio di Sun Cousto fosse una delle produzioni elvetiche che più mi avevano colpito nell’ambito blues/garage da diverso tempo a questa parte ed allo splendido lavoro sui classici natalizi inciso insieme ad Elvis Aloys. Partono con una sorta di arietta pop sintetica che collega i fili a quanto di buono il post punk più tropicale abbia fatto, per poi buttarsi a rotta di collo nel punk di Nothing. Nessuna sovrastruttura, la melodia intrinseca nelle voci, chitarra e batteria come se non ci fosse un domani. La produzione scelta dalla coppia è scarna, minimale e lascia spazio alle note di muoversi in assoluta libertà e concretezza, come fossero ritagliate su carta e fatte girare su uno spartito a mo’ di stendino, in una sorta di cartone animato autoprodotto. Quando invece lasciano più aria alla melodia non possono che portare al ricordo delle splendide Marine Girls, anche se Isumi Grichting e Julie Bugnard sono molto più scarne, più secche, abilissime a togliere tutto il superfluo lasciando intatto soltanto lo scheletro blues alle loro idee semplici e ficcanti. Riescono addirittura a scomodare Greg Ashley, che torna alla maente in maniera lampante in Golden Cities (e di seguito Dr. John, ed un certo Mr. Quintron), grazie alla loro capacità di scaldare piccole minuzie a bassa fedeltà spingendole al massimo della loro potenzialità scaldando pubblico ed orecchie. Poi scorie garage (I Don’t Wanna Talk) filtrate da una scoppietante sensibilità pop. Affermano che Jesus Can’t Surf ma abbiamo qualche dubbio, concedendo al lungocrinito delle attenuanti per un ritmo che provocherebbe uno tsunami a stravolgere le spiagge. Hardcore Sex With Your TV parte piano ma monta con un carico emozionale quasi da crisi, dove lo sfogo trattiene a fatica gli argini di una disfatta, per continuare in un saliscendi di sensazioni, tra fuochi e risacche. Il duo riesce a gestire tranquillamente anche i minutagi più elevati, sfatando il timore di un progetto luminoso ma a corto raggio: l’album è costruito molto bene, variato ed ondeggiante verso molti lidi, baie punk, anse lo-fi e trampolini pop. L’ultima volta che ebbi la possibilità di raggiungerle in via scritta mi dissero che erano in partenza per il Giappone ed il trovare questa lingua a far da padrona alla conclusiva Parents non stupisce quanto ascoltare alcune frasi in un perfetto italiano, prima di uno stacco strumentale che sembra trasportarci in una boccia di vetro con un’eccosistema perfettamente bilanciato fra sole, umidità e languore. Chiude rallentando, come una stella che stia decidendo dove finire la sua corsa.
Nel nostro cuore, ovvio.