Stefano Giorgianni, Christian Falch, Fredrik Horn Akseslen – Blackherts (Tsunami, 2019)

Dei documentari sul black metal, norvegese ma non solo, ormai credo si sia perso il conto: il genere attira – anche per le ben note vicende extramusicali – appassionati e detrattori e i numeri incoraggiano evidentemente a sempre nuove produzioni. Quello che si proponevano Christian Falch e Fredrik Horn Akseslen, i due registi di Blackhearts, era però qualcosa di più ambizioso: realizzare un documentario che, senza perdere il favore degli appassionati, suscitasse l’interesse di un pubblico più ampio. Ecco dunque l’idea di rivolgere microfoni e telecamere verso alcune realtà marginali per le quali la Norvegia fosse non solo una fonte di ispirazione musicale ma anche una specie di Mecca oscura dove andare a rendere grazie ai padri fondatori e visitare i luoghi sacri. Sina della one man band iraniana From The Vastland, i colombiani Luciferian e i greci Naer Mataron, i tre protagonisti della pellicola, hanno in comune l’assoluta devozione per Mayhem & c., un modo di vivere il black metal che va oltre il semplice suonare in un gruppo e una serie di problemi, più o meno gravi, che questa scelta porta con sé. Non serve conoscere i riscontri di critica e pubblico che Blackhearts ha ottenuto per capire che l’obiettivo che i due registi si erano prefissati è stato pienamente raggiunto: la documentazione delle vicende che porteranno i gruppi ad esibirsi in importanti festival scandinavi è interessante, a tratti anche divertente (i colombiani in giro per Oslo sembrano dei bambini a Gardaland) e, pur senza grandi approfondimenti  e senza esprimere giudizi netti, arriva a toccare argomenti spinosi come quello della libertà d’espressione (Sina deve tenere la sua attività ben nascosta alla polizia islamica), quello del rapporto fra musica ed estremismo politico (il bassista dei Naer Mataron è un parlamentare di Alba Dorata, al momento delle riprese detenuto con l’accusa di associazione a delinquere) e quello della militanza satanista in un paese fortemente cattolico (anche se, a onor del vero, ciò che devono affrontare i Luciferian non mi sembra poi così diverso dalle esperienze dei metallari della nostra provincia). Appare poi, nettissima ma inevitabile, al di là della grande disponibilità che i nordici dimostrano nei confronti degli ospiti stranieri, un’enorme distanza fra quello che è oggi il black metal in Norvegia – un genere musicale ormai totalmente addomesticato, con musicisti che suonano solo per lavoro, sindaci che gigioneggiano accogliendo il pubblico ai festival, musei dedicati e tour tematici sui luoghi dei fatti di cronaca nera – e il modo di viverlo dei tre protagonisti. Non è semplicemente il contrasto fra una visione romantica e una disincantata – la necessità dei musicisti norvegesi di sbarcare il lunario è poca cosa rispetto ai rischi che corre uno come Sina – ma qualcosa di più profondo che dal documentario non emerge del tutto. A renderla manifesta è il libro di Stefano Giorgianni, Rise Of The Blackhearts, che la Tsunami ha affiancato all’edizione italiana (in lingua originale con sottotitoli) del DVD: quello che nel film è solo accennato, nel libro ha la possibilità di svilupparsi attraverso la precisazione alcuni punti e l’approfondimento altri, condendo il tutto con interviste a personaggi della scena (fra i tanti troviamo Nocturno Culto dei Darkthrone, l’ex Gorgoroth Gaahl, Frost dei Satyricon e Mortiis).  Qui il black metal emerge con tutta la sua forza di linguaggio internazionale capace, senza snaturarsi, di essere declinato secondo le culture e le caratteristiche delle varie realtà locali: se per i norvegesi della prima ora il genere era servito per opporsi al cristianesimo, distruttore delle religioni autoctone, per Sina diventa il mezzo e l’ispirazione per resuscitare gli dei dell’antico impero persiano, così come ai Naer Mataron consente di riscoprire e dar voce, almeno agli esordi, al paganesimo ellenico. In determinate realtà questa musica è ancora un veicolo che permette di esprimersi a chi sperimenta situazioni certamente non meno estreme di quelle vissute dei vari Count Grishnackh e Euronymous nei ’90 e viene ad essere, in definitiva, molto più che semplice musica. Ma nelle pagine del libro si parla anche di altro, come la vexata quaestio dell’ascrivibilità o meno dei Naer Mataron al giro NSBM o l’opportunità, questa sì davvero stridente, di suonare in un gruppo filo-satanista e militare in una formazione politica che si appoggia fortemente alla chiesa greco-ortodossa; molto spazio viene dedicato alla storia di Sina nell’Iran post-rivoluzione khomeynista e altrove si approfondisce la filosofia metal-satanista che gira intorno ai Luciferian. Al di là del grado di profondità con cui determinati argomenti vengono trattati nei due supporti, l’opera si fa apprezzare, oltre che per il fatto di aprire una finestra su realtà a molti sconosciute, per un approccio problematico e privo di pregiudizi: merce rara di questi tempi, che già solo per questo dovrebbe meritare la vostra attenzione.