Shyrec Records: Kill your Boyfriends – Voodoo / Petrolio – La Disobbedienza

Shyrec è quella che chiamo killer silenzioso. Non si fa sentire più di quel tanto, non “appare”, ma lavora nell’ombra, fino a regalarci dei veri e proprio regali. Oggi ne scartiamo due, Kill Your Boyfriends e Petrolio.
Che poi, per la maggior parte delle volte, l’importante è farsi i cazzi propri. Sempre quel maledetto vociare, il chiacchiericcio, il dover avere una fottuta opinione su tutto.

Come diceva giustamente Giovanni Succi in Bukowski: “…altra birra e avanti, luci basse, fumo, ronza dell’ampli. Nascondiamo le parole, nascondiamo tutto quanto, ricorpiamoli con delle coltri di suono. Bene lo sanno i Kill Your Boyfriend, che da 9 anni e 4 album a questa parte fanno la cosa più giusta rimanendo fra i i goielli più opachi dello stivale. Poche cose, malessere, feedbacks, liriche e serpenti, scampanellii e batterie, catene, marie, gesù, scudisciate.
La sensazione è quella del cuoio e del sudore, di quattro preset e di un palco mai più alto di 40 cm. Deboscia e stillicido, la capacità di immagazzinare. Sensazioni che non si alzano mai più alte del cavallo dei pantaloni, ancheggiamenti e jeans grigi a sigaretta, occhiali fumé.
Siamo in 47 forse, poco più, ma ogni volta che questi due cristi fanno un disco scavano un baratro deciso fra loro e gli altri, pisciano sui cavi e battono sui tambuti. Noi tutti pestiamo i piedi in una sorta di ballo sghembo che ci fa apparire come degli spaventapasseri malaticci. Rombi di trattori, clangori, tremori in una voce salmodiante che sembra essere uscita da una cripta. Emaciata, inespressiva, perfetta. The Day the Music died sembra quasi una preghiera, a sfuggire da quanto iperprodotto, cercando essenzialità ed intensità.

Un altro centro Kill your Boyfriend, un altro centro Shyrec.

Non c’era bisogno d’altro.

I più fortunati (non me, mannaggia alla miseria) che hanno incrociato recentemente i Nero Kane sotto ad un palco avranno notato un losco figuro ad aprire le loro performance. Trattasi di Petrolio, conosciuto anche come Enrico Cerrato, attivo da circa un lustro ed autore di diversi lavori collaborativi (con, rispettivamente, Anja Kreysing e Boban Ristevski per Soleil Noir, M.D.M.A e The Crippler per Back On Earth
Gisas, Yuko Araki e Wear and Tear per Omen 30032019, Mademoiselle Bistouri per Playing with Aliens / Assi s Worth e, per chiudere, Vomir, Risa Ripa ed ancora Yuko Araki per 4WS).
Com’è come non è Petrolio sembra essere giunto al quarto album, nato come diretta conseguenza di un lavoro di sonorizzazione per una performance teatrale di Francesco Fassone intitolata “L’architettura della disobbedienza”.
Il lavoro si compone di quattro lunghi brani, in cui il pianoforte si interseca con un mondo oscuro, con il ricordo, con il proprio percorso nel mondo. Avete presente la sensazione di dolore dopo una corsa, quando quel piccolo organo che di solito funziona silente, la milza, urla tutto il suo fastidio? Nella lingua inglese, spleen, viene utilizzato per definire quello stato di malinconia amara che talvolta fa sputare poeti ed artisti.
Petrolio parte da questa ambientazione e posso figurarmelo, passeggiando fra le macerie in bianco e nero, incappucciato e con gli occhiali da sole. Ma poi parte in altezza, volando sopra questi paesaggi, sopra questo inconscio collettivo della città. Si libra per raccoglierne gli umori in maniera completa,
trasformandosi in un catalizzatore che rilascia suoni come partiture. Tessiture ambientali, più dolenti che grevi, che caratterizzano da sempre il lavoro artistico di Enrico.
Una vera e propria guida sonora, per costruire dentro di noi la propria città, facendola crescere, distruggendola, mummificare. Ci ho rivisto le mille vite di Dresda, l’architettura gotica, ma anche la costruzione continua di edifici imponenti ma lineari come le abbazie benedettine. C’è polvere ovunque, rimasugli di vita e di spazi che posandosi sul pianoforte di Petrolio donano una cappa in grado di fermentare e di rinascere per altri anni ancora.