Riccardo Inferno. Personaggio cult o semplicemente grandissimo sfigato? Genio o re dell’aurea mediocritas del punk statunitense? Meglio non rispondere a queste domande, che dopo 32 anni fanno ormai parte del personaggio e a modo loro ne alimentano la fama e la leggenda. E a noi piace così. Perché, insomma: non è che possiamo dimenticare, solo per il gusto di fare gli spocchiosi, che il signore qui presente ha suonato negli Heartbreakers di Johnny “Giovanni Genzale” Thunders, nei Neon Boys, nei mitologici Television e nei Voidoids (a lato, come condimento non necessario, aggiungiamo anche una carriera solista vagamente frastagliata e una militanza nei Dim Stars, all star band con personaggini del giro Sonic Youth e Don Fleming in organico).
Questo cd ha un po’ il sapore dell’autobiografia, come ammette lo stesso Richard Hell nel ricco libretto (che – come al solito – la Rhino munificamente include: grande etichetta, sotto questo punto di vista, e non solo); si parte dagli albori per giungere agli anni Novanta… peccato manchino registrazioni (eccetto una conclusiva Blank generation) consistenti di Mister Inferno coi Television.
Ma, alla fine, cosa resta al termine dell’ultimo brano? Beh, innanzitutto il piacere di avere riascoltato una bella manciata di classici. Ma, a livello meno superficiale, questo disco è la palese dimostrazione di come – piaccia o no – Hell abbia una propria cifra stilistica ben definita, spesso poi imitata o inconsciamente utilizzata da altri. La voce schizoide, gli arrangiamenti paranoici, i suoni taglienti e “zanzaroni”, i testi piuttosto fuori di mela: lo si riconosce quasi a occhi chiusi, nei suoi pregi e nei suoi difetti. I pregi sono una certa originalità (o grande spontaneità nel rielaborare ciò che già esiste), un palese senso di disagio che la sua musica trasmette e – nei brani in cui suona (molti) – la chitarra fenomenale di Bob Quine. I difetti… trovateli voi.
La musica di Hell è comunque da ascoltare, almeno qualche volta, nella vita. Anche se non siete fanatici come lo scrivente. Però è d’obbligo un’osservazione: curiosamente queste canzoni sono invecchiate esattamente come chi le ha composte e suonate… non male, necessariamente, ma sono cambiate parecchio, alla luce del tempo passato. Come dire: per usare un parallelismo dal vago (anche se non del tutto calzante) sapore Dorian Gray, vi basti sapere che in copertina Hell sembra il Cesare Cremonini degli esordi dopo essere stato arruolato nei Green Day, mentre sul retro è più sullo stile professore di scrittura creativa (un po’ gay) dei corsi serali del Comune di Milano (vi risparmio la foto interna… anzi no, ve lo dico: qui somiglia paurosamente a Nico McBrain degli Iron Maiden).
Comunque, per cortesia, leggetevi il libretto, perché Hell (istigato da Robert Christgau) puntualmente racconta i retroscena di ogni canzone. Per buona pesa ci trovate anche una recensione di Lester Bangs e altre cosette.
Bello.