Questo disco è stato composto utilizzando soltanto dieci note sparse su due ottave della tastiera di Raphael Loher.
Questa nota mi sembra un termine importante: ricordo molto bene (utilizzai tali dichiarazioni come introduzione al mio lavoro di tesi universitaria professionale) quanto disse e fece Lars Von Trier sulla libertà e sui confini, prima con le cinque variazioni e poi con Dogma 95, ovvero che riusciamo ad esprimerci con maggior slancio entro termini sempre più ristretti, lavorando su di noi e sui nostri limiti.
Se ricordate il disco dei Baumschule, qui recensito qualche mese fa, ricorderete quanto l’amalgama fosse componente vitale per l’ensemble, che riusciva ad esprimersi in maniera coesa ed omogenea quasi fosse un organismo dotato di un solo cervello.
Qui Raphael è da solo ed i suoi tocchi risuonano cristallini e limpidi in un contesto quasi silenziato. Quando le sue mani prendono il ritmo è impossibile non pensare a dei peluches ed ad una bottiglia di cognac, ma in questo caso il musicista risulta una personalità da non rimanere un epigono di Charlemagne Palestine ma anzi, risultare fresco, concreto e brillante. La lezione del minimalismo è qui lucidata al suo meglio: pochi elementi, suonati benissimo, a fuoco. Sono cavalcate, torrenti che rimbalzano in ogni angolo facendoci perdere l’orientamento come dalla caleidoscopica e riflessa copertina. Ma se la gravità perde il suo senso di essere non ci resta che ubriacarci…rettilinei, dolci tornanti, sudore ed espressività che fuoriescono da ogni tasto pressato. Keemun si dichiara appartenente alla musica da contenimento, sorta di movimento espressivo nato dall’impossibilità di azione e manovra all’interno del periodo storico limitato dall’espandersi del COVID-19. Riflessione forzata, carica espressiva, tensioni, sfoghi creativi. Amplificazioni di un’uscita personale ed artistica. La maestria in questo senso risulta essere quella della capacità di domare una verve ed un’idea che potrebbe velocemente sopraffarre o debordare. Keemun viaggia a briglia sciolta nei quattro movimenti, titolati secondo la scala numerica romana, con un andamento che forse non potremmo mai decifrare, ma al quale possiamo accostarci fisicamente, oscillando, traballando, respirando all’unisono. Un viaggio che è un binario che si perde all’infinito, dietro ad una locomotiva impazzita che non vuole saperne di fermarsi, ma rallenta ed aumenta la propria velocità in maniera istantanea, rivelandoci lati pazzamente divertenti ma anche inquietanti del tragitto, al quale aderiamo ormai soggiogati dai movimenti. Al termine il silenzio ci spaventa; dovremmo scendere dal treno, senza sapere cosa ci aspetterà là, fuori, nel mondo…