Ramon Moro – Live (2023)

Un castello, quattro opere d’arte in comunicazione visiva fra di loro, un musicista in solo, tromba e flicorno al suo fianco, per quattro composizioni originali ispirate dalle quattro opere. Questo musicista è Ramon Moro, talento che da anni sta spargendo il proprio fiato in dischi ed esibizioni da tenersi strette. Ho avuto occasione di incontrarlo due volte, sempre di sfuggita: la prima poche ore prima di vederlo alla serata luganese del Lazarus di Walter Malosti, la seconda di passaggio a Torino, curiosando nel Dunque alla ricerca di un aperitivo. Toccherà di sicuro trovare un approdo per una chiacchiera, per ora ci accontentiamo della forma scritta dell’intervista e dell’ascolto attivo, attento e ragionato, di questi quattro brani. Black tides è legato all’opera di Julie Mehretu Orient (after D. Cherry, post Irma and summer), 274,3 per 304,8 centimetri fra strati di colori e grigioneri di una vitalità e movimento che si sposano con una certa solennità nel suono di Ramon che, dallo scampanellio iniziale, cresce di vigore mantenendo un aplomb ed un rigore anche mentre il suono prende massa e si erge quasi a monito, od a prosopopea. Con la Velocità Astratta di Giacomo Balla entriamo poi in Insist to Die, dove il volo lieve della tromba su un mantice cupo non fa fatica a richiamare l’immagine della triste mietitrice, ma forse più che alla sua figura all’eterna danza che sembra essere il nostro avvicinarsi ad essa, senza poter mai comprendere se si tratterà di zenit o di fine. Così i suoni, caracollanti, forti ma quasi a muoversi su un binario in attesa di capire quale sia la loro funziona finale. Le storture di tromba sganciano i baricentri affinché questa totentanz risulti spiritata e sciancata come si conviene, in attesa di capire quale sia stato il principio ricercato con questo rituale. I met you, but you were transparent per Beeple si interfaccia con due livelli di suoni, un fondale che sembra richiamare un movimento di gruppo, di corpi, ed un deciso girovagare singolo in primo piano. Questo girovagare sembra in qualche modo prendere respiro, esondare ed orbitare senza poter più essere seguito, con i suoni di Ramon che si fanno in qualche modo più drammatici ed aerei. Francis Bacon è la dolenza rappresentata su tela; Ramon Moro gli fa onore, trattando con melanconici suoni il lirismo di personaggi abietti e dimostrando di essere uno splendido musicista, ma ancor di più uno fantastico compositore ed un mirabile lettore di immagini.