Pere Ubu – Trouble on Big Beat Street (Cherry Red, 2023)

Pere Ubu. Squillo di tromba ed una voce, quella di David Thomas, trascinante ed unica, nei suoi 70 anni d’età.

Ricordo che aspettai diverso tempo prima di ascoltare il precedente the long goodbye per paura che potesse essere il loro ultimo disco. Ora è più facile, che il disco scorre con la consueta intensità e, non che ce ne sia bisogno, con i Bärlin in azione avremo chi batterà la risacca oscura per anni. Sibili, quelli di Moss Covered Boondoggle, tra serpenti e palloncini, ritmi, per una Crocodile Smile che fa apparire i nostri predicatori scintillanti di qualche chiesa di provincia, o forse sono solo imbonitori di piazza, palloncini sull’improvvisato pulpito.

Ma chi sono i Pere Ubu oggi? Chi è Gagarin l’elettronico? Keith Moliné ed Andy Diagram sono gli Spaceheads, parte dei Two Pale Boys o membri della famiglia? Michael Temple è qui da 30 anni, quindi è ancora fresco? Alex Ward ha spedito una canzone venendo invitato ad unirsi, magari al pub dove incontrarono Jack Jones. Sei uomini che in Nyah Nyah Nyah rendono la lallazione terribilmente sexy e lasciva, che conoscono bene il blues, il diavolo e le preoccupazioni, rendendole con bèrci e sibili.

Ondivaghi, sinuosi e maligni in una Let’s Pretend che sembra brodo primordiale dal quale potrebbe aver preso vita Similou e che in un 45 giri insieme a Raf farebbe probabilmente fermare il mondo. Crazy Horses trasporta gli Osmonds ed il loro groove nelle caverne più groove, scalciando e nitrendo, lasciandoci con quella carezza che di fatto è Uh Oh dimostrandoci come sia possibile rimanere nella storia.