Non è solo una questione di maestria e bravura, ma anche, e soprattutto, di sapersi mettere in ascolto del mondo, delle cose e dei silenzi, facendone strumento di meditazione.
Mi sono bastati i primi sei secondi di questo disco per esserne completamente catturato: ascoltate per credere. Quelle prime cinque note e il silenzio che ne segue sono tra le cose più evocative che abbia sentito da parecchio tempo.
Seguo la musica di Paolo Spaccamonti sin dall’EP Frammenti del 2013, composto da tre pezzi da riscoprire.
Fin dal primo ascolto di quei brani, ho capito di trovarmi davanti a un chitarrista unico, preparato, intuitivo, evocativo e originale.
Tornando al presente e al suo nuovo album Nel Torbido, appena uscito, è chiaro che siamo di fronte a un’opera importante e matura, non solo per l’autore, ma anche per noi ascoltatori, che, una volta sentito, non potremo fare a meno di inserirlo tra i dischi da ascoltare e riascoltare infinite volte, con le orecchie ma anche con la mente.
Il primo brano, Salina, inizia con le cinque note di cui parlavo, seguite da un silenzio che dice tutto sul sapiente procedere narrativo di Spaccamonti.
Fluttuiamo in questo silenzio che pian piano diventa un rombo, seguito da note e riverberi che si intersecano come onde. Un brano con una fortissima personalità, che mi ha piacevolmente ricordato il Neil Young di Dead Man e i Popol Vuh di Herz Aus Glas.
L’amore che strappa cambia registro con un andamento marziale: su questa sorta di marcia disperata, accompagnata dal suono di catene, compaiono lentamente frammenti di melodia, in apparente contrasto con il resto. Anche qui sembra di essere in un film ma in realtà questa musica è tutti i film e nessuno. La sensazione è che il compositore, attraverso uno strano procedimento alchemico, sia riuscito a fondere la chitarra con la pellicola cinematografica. È come se Paolo Spaccamonti suonasse il cinema.
Ed eccoci al terzo brano, Nel Torbido, che dà anche il titolo all’album. Su una reiterazione di corde sfregate e distorte, degne di Venus In Furs, compaiono note solitarie e frammentarie frasi di chitarra, generando un crescendo apparentemente senza fine. A metà brano emerge un ritmo antico e rituale: nella notte oscura, davanti al fuoco, ascoltando questa ancestrale nenia, abbiamo un po’ meno paura. A due minuti dalla fine, tutto viene travolto da una fiumana di rumore, che, se fosse un’immagine, sarebbe l’inarrestabile ondata di sangue che esce dall’ascensore dell’Overlook Hotel.
Con No Blues, quarta traccia, tutto si calma: la chitarra è cristallina, e i suoi riverberi sono caldi e avvolgenti come la tremolante luce dei pomeriggi d’agosto. Nell’apparente semplicità risiede la forza dirompente di questo brano, che diventa subito una vibrazione calda e familiare, facendoci viaggiare nel nostro spazio e nel nostro tempo. Alla fine di tutto, conta sempre e solo il suono, e il suono di questa chitarra piange dolcemente. Noi, rapiti da tanta bellezza, piangiamo con lei.
I Sogni non servono, penultima composizione, si muove proprio nel terreno evanescente e illuminante dei sogni. Le chitarre arrivano come un flusso onirico fatto di frammenti, luminose melodie ma anche oscuri presagi. A metà brano tutto si ferma, e una nota acuta e rifrangente viene reiterata, come se fossimo prigionieri di questo sogno, cercando di scivolare fuori o almeno in un altro sogno. La reiterazione fa crescere pian piano questa visione, che nella seconda parte ci appare come una Fata Morgana, avvolgendoci e facendoci fluttuare in un movimento ascensionale.
Ha ragione la notte chiude il disco con un andamento se possibile ancora più sognante: una chitarra granulare fa eco a se stessa, dialogando con degli archi inaspettati, rendendo questo finale ancora più evocativo e intenso. Il brano ha una sua liturgia, in cui chitarra e archi officiano un rito notturno di discesa nel torbido e risalita. E se avesse davvero ragione la notte? Se i pensieri e le idee che ci affollano la testa togliendoci il sonno non fossero da scacciare all’apparire del giorno, ma invece annunciassero e delineassero un nuovo inizio? Ha ragione la notte, e ha ragione Spaccamonti nel suo comporre con fare misurato e visionario. Noi non possiamo che essergli grati, ascoltando queste composizioni che, con la loro intensità a tratti insostenibile, ci spingono a essere esseri migliori, con più volontà.