On Fillmore/Pupillo, Kazuhisa, Yasuhiro – Phonometak Series #7 (Phonometak/Wallace, 2010)

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Era un da un po’ di tempo che mi chiedevo che fine avessero fatto questi due geni, perché al di là della discografia singola di Glenn Kotche (Wilko, Loose Fur, Bobby Conn etc.) e Darin Grey (Dazzlin Killmen, Bris Glace, You fantastic) il gruppo mi ha sempre fatto impazzire. Per chi non li avesse mai sentiti, si tratta di un duo con una formula tanto semplice quanto intensa. Percussioni e basso, metallofoni, qualche effetto e null’altro, ma in mezzo ci sentirete un groove a dir poco penetrante e un sostrato percussivo di suonini, lamiere, vibrafoni spalmati a tappeto tanto da dare questa strana atmosfera fra jazz, minimal fusion tribale e notturna ed un suono così viscerale da lasciare senza molto da dire.
Pur muovendosi sempre su riff seriali ed ultra ripetitivi non annoiano mai, il basso è come se andasse quasi in mantra e quello che colora il tutto è la batteria o comunque il lavoro che ci fa sopra Kotche. Certo la classe non è acqua e gli On Fillmore rimangono un gruppo sopra le righe: splendidi. Sull’altro lato invece troviamo un live al Copenaghen jazz fest di un trio che coinvolge Massimo Pupillo e i due giapponesi Yasuhiro Yoshigaki e Uchihashi Kazuhisha (entrambi nei Ground Zero). Immagino che non ci sia bisogno di dirlo, ma Massimo Pupillo è il bassista degli Zu (e si sente), se vi è capitato di vederlo live e/o di prestare un ascolto a Carboniferous vi sarete accorti di quanto i romani siano al vertice della forma e allo stesso tempo suppongo che al di là delle enormi qualità degli altri due, non vi sarà sfuggito che uno dei maggiori responsabili della loro alchimia è proprio questo bassista. Anche in questo caso il suo suono di Pupillo è “grosso” anche quando non distorto e al più “finto sbavato”, in realtà controllatissimo come sempre. Questo pulsare di linee basse con un suono in bilico fra Laswell (era Painkiller, Massacre), Meshuggah e Nomeansno (periodo The Sky Is Falling And I Want My Mommy) incide profondamente sul power trio che altrimenti potrebbe anche suonare una jazz rock-fusion più anonima. Partono in modo molto fine per montare minacciosi e progressivi fino a svuotarsi. A tratti oltre la somma delle singole parti mi hanno ricordato delle schegge di alcuni lavori delle formazioni capitanate da Jim Black e molto meno i lavori solisti che ho sentito dei Ground Zero. Non si tratterà di un reperto fondamentale, ma comunque di un lavoro molto interessante.