Nel tempo trascorso tra il precedente Albero Specchio e questo Alchemy To Our Days i Metzengerstein hanno fatto diversa strada, in senso proprio e figurato: diverse date in giro per la penisola e un nome che si è fatto spazio fra quelli della sedicente psichedelia occulta italiana. Proprio in quella direzioni va il suono di questo nuovo lavoro che, come il precedente, ha visto la luce prima in cassetta (su Yerevan Tapes) e poi in vinile, grazie alla Kohlhaas.
Stavolta i tre toscani, schierati secondo il classico assetto chitarra-basso-batteria, usufruiscono di qualche calibrato aiuto esterno: i field recordings di Giovanni Lami, le incursioni di sax di Virginia Genta di Jooklo Duo e la tromba di Marco Baldini, ma non sono questi a portare il suono del gruppo verso lidi progressivamente distanti da quelli degli esordi, bensì una calibrata scelta di scrittura e approccio alla materia. Le coordinate sono sempre quelle di una musica ritualistica e intimamente psichedelica, ma ora i toni sono meno scuri (sparisce quasi del tutto la componente industriale), le strutture più leggere e l’ispirazione sembra attingere al bacino del Mediterraneo, dal cui pesca cadenze indolenti e un suono talvolta impalpabile, prossimo al dissolversi (le placidità ambientali di Peak Of Meditation). Alchemy To Our Days non è tuttavia solo questo: c’è la spirale ascendente di Burāq, il free-blues sahariano di Conversion To Wah Wah, soprattutto gli evocativi passaggi della splendida A Black Son Form The Ashes, che inizia come un mantra, ma, scossa dalle percussioni, finisce per sciogliersi in un ambient oppiaceo e stratificato. Onestamente sarei stato curioso di vedere dove avrebbe portato l’originale miscela elaborata dai Metzengerstein nel primo disco, ma la scelta del gruppo è stata quella di approfondire il lato più etnico di quel lavoro, andando ad affrontare uno stile già molto codificato con una personalità spiccata; una scelta coerente e coraggiosa, che li porta a giocare alla pari sul terreno di Al Doum And The Faryds (con maggior fantasia) e della Squadra Omega più chitarristica (con minor ruffianeria). Con Alchemy To Our Days i Metzengerstein si qualificano come testa di serie in un ambito che però sta esaurendo rapidamente le cose da dire e comincia stancamente a ripetersi; al tempo di Albero Specchio citai i T.A.G.C. orientaleggianti e jazzati di Digitaria come gruppo attitudinalmente vicino, anche se non così prossimo stilisticamente; l’impressione è che il trio abbia assimilato quella lezione e si sia spinto più in là: chissà che non stia a loro, viste le doti messe in campo, trovare una via d’uscita e di ulteriore sviluppo.