Matteo Cambò – Paradoxum (L’Archipel Nocturne, 2024)

L’universo di Matteo Cambò, all’esordio per un’etichetta nuova di zecca di nome L’Archipel Nocturne, è sfaccettato e complesso. Studi classici, commistione di musica digitale, acustica, autogenerata. Musica che ricopre lo spazio, cambiandone l’atmosfera accentuando asperità e chiaroscuri. Fluxid riecheggia dei suoni del flauto del padre, Donato Salvatore Cambò, che con le sue correnti d’aria sembra rubare luce alla scena rendendola tetra e vischiosa. Nel prosequio escono chiari riferimenti tradizionali ed evocativi, sul periglioso crinale che limita la new age e la terapia, in un insieme elettroacustico che fatca a trovare un suo equilibrio nelle scorribande modulari e di intensità. Con Evolutionary Silence gioca con i rintocchi di uno scacciapensieri ed i tasti di un pianoforte, in un dialogo con le installazioni di un’artista visiva, Elsa Mencagli, che riesce ad attraversare lo spazio attraverso i rimbrottii ed i gorghi sonori per concludersi con una melodia incisiva e brillante ad incagiarsi sulle medesime lallazioni di inizio brano. Anche in Where Study Rejoices Cambò lavora con le voci campionate ed in questo senso sembra riesca ad imprimere maggiormente la propria impronta sulla materia sonora, guidandoci in un’aura di sacralità psichedelica che si innalza verso gli astri. Con Everything Awaits la dicotomia digitale tradizionale continua ad esprimere i binari sui quali Matteo Cambò ha scelto di instradare la sua opera, lavorando sulle intensità e sul vigore. Come uscita si ritorna alla tenebra, alla notte ed addirittura al conflitto, con la ninna nanna cantata da Gaia Mencagli che si fa strada fra percussioni e scoppi, lasciandoci di fronte ad un’opera prima di un musicista deve solo scegliere che direzione percorrere, schiacciando più forte sull’accelleratore e lucidando i lati più legati alla propria tradizione. L’ardore ed il mestiere non gli mancano e restringendo il campo da gioco riuscirà senz’altro a costruire paesaggi intriganti ed immaginari.