Mantenna è la creatura aerea forgiata da Stefano di Trapani e Donato Dozzy, entrambi ben conosciuti per i loro approcci trasversali alla materia musicale, fra elettronica, sperimentazione ed approccio libero. Sul palco del Klang di Roma, con una strumentazione a loro sconosciuta e senza nessun preset. Il suono risente di un debito verso una certa tensione quasi gobliniana, all’interno però di una nuvola cosmica e quasi trascendentale. Stridente, carnale, memore di musiche d’archi di tempi lontani, la musica del duo riesce a mutare forma, facendosi corporea e vicina a tratti a composizioni per archi contemporanee. Foriera di cambiamenti all’interno di un flusso continuo si fa ora sirena, ora ascensione, ora spazio siderale. Poi squarci come urla, una musica che si fa sibilo e rantolo, imaginandosi le schiene dei due musicisti inarcarsi, scambiandosi cenni d’intesa. Mantenna sembra esondare a tratti, non per eccessiva foga bensì con una bassa intensità che si sparge ovunque come fasci d’elettroni intorno a nuclei sempre più sparsi. Quella stridula tensione che si era percepita ad inizio esibizione si rimarca anche in questa fase, quando chiudendo gli occhi potremmo credere di sentire gli ultimi vagiti di una luce che scivola nell’abisso, poi una massa pietrosa muoversi. A tratti parrebbe d’essere in un teatro di posa, dove artigiani con pochi mezzi devono ricreare, con pochi mezzi, gli effeti speciali per grandi opere dei tempi che furono. Una musica d’antan, che riesce a sobillare ed illudere gli spettatori, consci si tratti di un trucco ma stregati dalla magica ambientazione. Partono i bassi, austeri ma funzionali ad aperture e danze solitarie, poi un vuoto pneumatico, poi raggi laser, fiotti sonori e videogames impazziti che vanno a scemare lentamente.
Applausi, una coda sonora che va verso l’infinito, rantolando come un serpente a sonagli all’imbrunire. Mantenna. Due brani, lato A e lato B, un nastro.<a