Lucio Capece & Marc Baron – My Trust In You (Erstwhile, 2018)

Le collaborazioni a volte sono un’occasione per provare approcci differenti rispetto al proprio percorso individuale e questo succede in My Trust In You di Lucio Capece e Marc Baron: il peculiare e affascinante concetto di affilato minimalismo percettivo del primo si incontra con l’approccio concreto fatto di divagazioni rumoriste e nastri manipolati del secondo, creando qualcosa che va oltre i concetti base di partenza. Se il titolo allude alla fiducia nell’altro per condividere un percorso comune, questa è sicuramente stata funzionale alla composizione di un lavoro che arriva al dunque con un’espressività prorompente, gestendo la materia colta con un procedimento artigianale rumorista che aggiunge una pregevole naturalezza di fondo al lavoro. Capece al clarinetto basso, sassofono, sintetizzatori analogici, filtri, suoni captati da mini speaker e field recording in alta e in bassa qualità e Baron che manipola nastri, registrazioni ambientali e altri dispositivi analogici non meglio specificati; tutti mezzi che raggiungono lo scopo di trasformare le infinite possibilità discorsive in compiuta realizzazione.
Nell’iniziale Believe in Brutus lo sfogo discorsivo trova nella continua alternanza di frequenze improvvise e registrazioni manipolate la sua piena realizzazione, dove la sommatoria degli elementi sa collimare con le pause e disperdersi in tensioni elettrostatiche dal sapore malinconico. Si nota subito la volontà di costruire una poetica tangibilmente materica e frontale, facendo leva sull’integrazione di piani stratificati ambiguamente per ottenere un impatto inconsueto. Così, all’interno di Black Soil, tra nastri scoppiati e distensioni, spuntano inaspettatamente i piatti di una drum machine a spezzare il suono che germina di continuo su se stesso; mentre Self Centered Intepretation Of spalma la sua presenza verso profondi droni dal richiamo poetico e Ultra-Violet As Everyone´s Inner Blackest Black è un’elettronica di incisioni deflagrate, dritta e ribollente, che gioca sull’incastro di frequenze collaterali. Kneel For Your Psychoacoustic Rights suggestiona e persuade a subire i livelli saturi dei bordoni mentre nella tensione aleggia lo spettro de l’orrore della nascita di Kevin Drumm, qui frantumato in discontinuità panoramiche e trapassato costantemente da cut-up imprevedibili. La successiva Snowblind tratta la materia immergendone i contorni nelle tonalità di rumore bianco e Of The Natural Selection- Yûrei chiude con il minimalismo sovracompresso per poi distendersi in concretismi che si estinguono nell’impercettibilità.
Un disco che mantiene costantemente alto il livello di coinvolgimento, senza mai adagiarsi in facili stereotipi, mostrando due autori in stato di grazia compositiva che gestiscono gli arrangiamenti e la gamma di possibilità espressive in modo crudo e profondamente creativo.
Un disco per godersi seriamente quest’autunno e resistere al freddo che avanza.