Luca Sigurtà – Grunge (Silken Tofu, 2017)

Se questo disco di Luca Sigurtà sia una svolta verso nuovi orizzonti, l’inizio di un percorso parallelo o un episodio isolato ce lo dirà il tempo; quel che è certo è che Grunge rappresenta uno stacco piuttosto netto rispetto a quanto fatto in finora e solo rivedendo le opere passate col senno di poi possiamo cogliere – in particolare nel precedente Warm Glow – alcuni germi di questo cambiamento. Lavoro ambizioso, arricchito dalla presenza di molti ospiti e caratterizzato da atmosfere variegate, Grunge è un’opera orientata alla ricerca codici comunicativi più fruibili: lo fa dando ampio spazio alla voce, presente in quasi tutti i brani grazie agli apporti esterni, e adottando spesso  soluzioni elegantemente pop. Il limite, tipico di queste operazioni, è una certa diseguaglianza, non qualitativa ma stilistica, data dall’avere ospiti di personalità nelle posizione chiave di ogni brano: ognuno imprime il proprio stile e la musica, nell’assecondarne le caratteristiche, fatica ad unificare il tutto. Da un lato la varietà e la qualità dei singoli brani tiene lontana la noia, dall’altro può rendere difficoltoso – è il mio caso – l’entrare in sintonia col disco. Tutto è chiaro fin da subito:  Badlands parte con un suono serrato e psichedelico per poi virare improvvisamente verso il folk esoterico con l’intervento dei Father Murphy; di seguito la chitarra di Luca Mauri (compagno di Sigurtà nei Luminance Ratio) infonde spirito rock alla dronante June, Francesca Amati (Comaneci), con la sua voce inconfondibile, porta Glimpse nei territori del trip-hop più minimale, Paul Beauchamp aggiunge synth sognanti ai batti indolenti di Popskill. È nella seconda metà, prima della classica chiusura ambientale di Topanga (Matteo Bennici al violoncello), che l’album trova continuità, nonché il suo apice, con una tripletta di brani con voce narrante, fra cui spicca l’eccellente hip-hop virato noir di Black Sifichi (Koi) e solo un gradino sotto il recitato su base pulsante dell’ex The Ex G.W. Sok (Sewed Up); Threshold dà invece sfogo a sonorità  e ritmiche post-industriali finora represse, dalle quali emerge a fatica una voce campionata. È il lato più scuro e difficile di Sigurtà ma la continuità dei tre pezzi dona un pathos e un’intensità che non avevamo ancora riscontrato, almeno con questa forza. Per chiudere non posso che rimandarvi a quanto scritto all’inizio, aspettiamo e vediamo: le potenzialità ci sono e gli orizzonti, per quanto ascoltato, sono tutti aperti; bisogna solo capire che strada imboccare.