Nuovo lavoro per il prolifico Giovanni Mori qui con il proprio progetto principe: storie di sesso, power electronic e sofferenza. Il melodramma si consuma nella camera di Giovanni, eterno interlocutore di se’ stesso, che in un recitato enfatico e febbricitante si rivolge a qualcuno che non c’è, ma che gli si para eternamente dinnanzi. Il basso elettrico, sempre in primo piano, urla lacerato e slabbrato accompagnando le invocazioni del performer in un lavoro rumoroso, uguale solo a sé stesso e che nella propria omogeneità (ma anche integrità morale) scorre piacevolmente anche per le orecchie meno avvezze a questo tipo di urticanti sonorità. In fondo di rock si tratta, seppur stratificato attraverso distorsioni, loop ed evocazioni cinematografiche. Un artista che merita rispetto innanzitutto per il coraggio di mettersi costantemente a nudo e poi per l’onnivora ricerca del suono. E il suono può manifestarsi anche attraverso un semplice concetto come uno stato d’animo. Lacerante per chi canta, ma anche per chi ascolta. Simbiosi perfetta.