Napoli è città che, mischiando tradizione e nuovi mondi sonori, ha sempre avuto molta fortuna. Dagli Almamegretta di anni fa (che comunque, con il loro ultimo album, hanno rimesso molti ascoltatori al proprio posto, riportandosi alla vetta in maniera molto tranquilla) al Liberato degli ultimi anni (che invece qui, in sede di recensione, non aveva entusiasmato). Che dire di La Niña, qui al proprio debutto dopo quattro anni di studio, allargamento del territorio, posiziuonamento?
In primis che non è propriamente una debuttante, avendo fatto parte (insieme a KWSK Ninja, produttore del disco) di quegli Yombe, che già fra 2016 e 2017 diedero buona prova di sé. Poi abboccamenti con Fitness Forever fino ad arrivare in questa nuova incarnazione, con un album breve, intenso e preciso. Lingue differenti, ritmi, movimenti, percorsi che scivolano sotto la voce della Niña come ciottoli bagnati al sole. Otto brani per 21 minuti, una presenza magnetica e carnale, mai sopra le righe. Rimane lì, entrandoti nelle orecchie sottotraccia, quasi senza accorgersene. Dalla sua ha un concept forte, presenza vocale, alcune tracce veramente azzeccate: Notte potrebbe suonare cinque volte di fila senza mai annoiare ad esempio. Blu è da brividi. Ma oltre le canzoni ci sono veri e propri mondi: ci sento la Spagna, la Grecia, il Giappone, Napoli tutta. C’è una visione moderna di rappresentare una canzone antica che viene presa a schiaffi e ributtata al suo posto. Ci sono brani accattivanti, la presenza… per trovare una nota negativa dovrei proprio sforzarmi ad evidenziare come il nome del producer, ecco, forse sarebbe meglio cambiarlo. Però di sicuro a questo giro ha ragione lui, che a forza di sostare sul golfo di Napoli si è beccato l’onda buona.