Se l’ascolto delle prime battute di 60 Minutes Circle potrebbe frettolosamente far pensare ad un classico gruppo post rock (e qui mi viene in mente che le parole "classico" e "post rock" dovrebbero essere in un certo senso antitetiche, o perlomeno così era alle origini, quando non c’era nulla di classico in certi suoni) subito ci si accorge dell’errore. Se proprio vogliamo parlare di post rock lo dobbiamo fare nell’accezione di musica completamente strumentale, o comunque pensarlo nell’interpretazione che ne hanno dato gruppi come i Tortoise, o più recentemente Exploding Star Orchestra, non intendendo con questo dire che i King Suffy Generator suonino esattamente così, è più un discorso di mood comune, di intenzioni.
L’immaginario sonoro del gruppo piemontese è comunque ampio e sembra guardare, più che a modelli d’oltreoceano, a certo progressive italiano (P.F.M. su tutti), ripulito però dalle pesanti sovrastrutture che in molti casi lo hanno contraddistinto e miscelato con sonorità e ambientazioni cinematografiche, vedi le colonne sonore di certi film polizieschi italiani degli anni ’70, stile Milano Spara, Torino Violenta, Domodossola Brucia ecc. ecc.. Il disco scorre che è un piacere e certi passaggi sono da manuale. Su tutto, la cosa a mio gusto più entusiasmante, non me ne voglia il resto del gruppo, rimane in ogni caso il lavoro dei synth, che quando partono con certe svisate sembrano dare un senso alla parola "space" ed i bei passaggi di vibrafono. Per il resto 60 Minutes Circle sembra prodotto da personaggi decisamente aperti di mente e, tra le righe, molto ironici, sembra quasi di vederseli davanti a suonare con un bel ghigno soddisfatto stampato in faccia. Consigliato.