Jonas Albrecht – SCHREI MICH NICHT SO AN ICH BIN IN TRANCE BABY (Irascible, 2024)

La Svizzera continua a dare il meglio di sé a livello percussioni. Dopo aver visto un devastante e giocoso Julian Sartorius a San Bernardino lo scorso anno e goduto i suoni notturni di Sheldon Suter, oggi è il turno di Jonas Albrecht, che abbiamo conosciuto in quel calembour di suoni e percezioni che sono i Film 2. Qui è solo, in quattro brano che ne svelano altrettanti lati. Il titolo è programmatico e sta per: non urlarmi così, sono in trance baby.

Con Liecht partiamo in uno spazio che ci riporta ad alcuni vocalizzi di Peter Gabriel, presenze femminee e nebbia. Poi iniziano i ritmi, antichi e soggetti a bizze che aggiungono colori e profondità. Suoni che paiono legati a mondi dove si incontrano Asia ed Africa fra polvere e riti. Un brano trascinante senza picchi, con un potere di persuasione e di assuefazione tale che, allo scadere del quarto d’ora abbondante per il quale si dipana, ci lascia letteralmente con le braccia e le gambe a mezz’aria. Fortunatamente Leib inizia immediatamente ed a spron battuto, dritto, come se avessero caricato sulla linea ferroviaria elvetica un branco di percussionisti. La doppia ritmica, il canto, quello che sembrano cani incazzati, tutto manteca un brano che vince nella sua concentrazione ed ordinata calca. L’uso parte con voci pitchate inquietanti che con il passare dei giri si uniformano alla ritmica, in una sorta di oracolo cangiante. Poi tutto muta e tutto si trasforma, su piani colorati che ricordano una psichedelia ora lucida ora sabbiosa. Poi, liberatoria, aperta, è pura materia da ballo.

Qualche tono oscuro e minaccioso alza la testa in Lack, brano conclusivo (e propulsivo) che sfrutta il suono di quel che sembrerebbe un corno per poi staccare giocando fra basso ed alto, grave ed acuto, per finire nella solita osanna in trance. Noi, sfiniti, ringraziamo.