Illachime Quartet – I’m Normal, My Heart Still Works (Fratto9 Under The Sky/Lizard, 2009)

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Credo che pochi di voi lo ricordino o l’abbiano mai sentito, ma un bel po’ di tempo fa questi ragazzi campani avevano partorito un disco molto carino e vado molto orgoglione di averlo recensito per l’ormai defunta Post-it?. Ad ogni modo, ricordo perfettamente che a suo tempo parlando con Gianmaria (il boss/factotum della Fratto9 e gran capoccia di Post-it?) convenivamo sul fatto che fossero un buon gruppo e che si distaccavano parecchio dalla media delle cose italiane del periodo.
A distanza di tempo gli Illachime Quartet ritornano e Gianmaria, invece di fermarsi alle parole come me, ha dato seguito con i fatti stampandogli il disco nuovo… e che gran bel lavoro! Incominciamo subito elencando gli ospiti illustri come Mark Stewart (Pop Group, Maffia), Graham Lewis, Rhys Chatham, Salvatore Bonafede oltre ad altre comparsate di gente più o meno conosciuta, resta che nella sostanza il gruppo restano Fabrizio Elvetico, Gianluca Paladino e Pasquale Termini. Strumenti di tutti i tipi anche se la base restano batteria, strumenti a corde vari, tastiere, pianoforti e voci… post-rock quindi No, facciamo che se andate a cercare su un manuale della musica rock, post, etc. vi toccherà andare ad un attimo prima della genesi del post, infatti i partenopei si sono spostati ad un attimo prima che molte idee del circuito post-punk, post-jazz, post-dio-solo-sa-cosa influenzassero molti musicisti rock. Nell’ascoltare questo disco ho trovato più punti i riferimento in certe cose dei primissimi Material, del Pop Group di molto avant-jazz del giro zorniano/laswelliano, quello che di solito raccoglieva intorno a questo o a quel musicista sia che esso fosse Jim Stanley o David Moss, gente come Arto Lindsay, Ikue Mori, Zeena Parkins, Elliott Sharp, Robert Musso (da non confondersi con Johnny Mussa). Poi in realtà quello che ho detto è un po’ limitativo come descrizione del lavoro intero, infatti nelle tracce di questo CD c’è molto di più: jazz storto, cantautorato obliquo e arrangiamenti quasi cameristici. Mediamente le melodie e le atmosfere sono parecchio cupe e resta quell’alone vagamente krautesco ed anni Ottanta che non sta per nulla male. Avete capito bene, anni Ottanta, ma non con le tastierate Duran Duraniane, roba synth pop o giù di lì, parlo di circuito off americano e inglese del periodo, spruzzato di musica elegante. Bel disco, molto particolare e che per quel che mi riguarda conferma tutto quello di buono che avevo pensato la prima volta che avevo sentito il gruppo.