Hermetic Brotherhood Of Lux-or – Ethnographies Vol. III – Musèe De L’Homme Hermètique (Transponsonic, 2017)

Arriva al terzo capitolo, quello conclusivo, la ricerca sull’uomo ermetico dei sardi Hermetic Brotherhood Of Lux-or, un lavoro poderoso in doppio CD per oltre 100 minuti di musica, in pratica due lunghi brani divisi in 9 tracce per ciascun supporto. Dopo l’intermezzo ritualistico di Anacalypsis il collettivo di Macomer torna alla ricerca sul campo con un album ben più ostico per la lunghezza e la minore organicità dei pezzi, molto articolati e non di rado tendenti al free. La complessità tuttavia è soprattutto concettuale. Come le note di copertina si premurano di far notare, mentre l’etnografia classica ha sempre preso in considerazione particolari gruppi di persone o aspetti limitati della società, in questo caso lo studio riguarda “la musica rituale di uno strano collettivo sardo mutante”. Quello che però rimescola veramente le carte è che lo studio viene effettuato dal collettivo stesso e le registrazioni che ne escono sono quindi il risultato di qualcosa che sta a metà fra un rito tribale e una seduta collettiva di psicanalisi sperimentale: il campo di ricerca è l’inconscio dei musicisti stessi e quello che emerge è la cultura dei singoli così come eredità ancestrali comuni ma anche sentimenti come rabbia, frustrazione, esaltazione. Viste le premesse è ovvio che anche l’ascolto,  privato della relativa oggettività di uno normale studio, non può che svolgersi in modo particolare: il semplice approccio analitico non è sufficiente, serve un ‘impegnativa immersione nel flusso, possibilmente – ma è solo una mia idea – in fase ipnagogica, così da permettere una miglior penetrazione psichica. Ognuno all’atto dell’ascolto vivrà presumibilmente una propria esperienza, inutile quindi indugiare in interpretazioni personali; più utile è forse inquadrare culturalmente il lavoro. La base è quel primitivismo post-industriale, suono contemporaneamente del prima e del dopo, che se siete pratici del gruppo già conoscete: profusione di percussioni delle più disparate nature e suoni stridenti – non si è lontani dall’attitudine di un artista come Z’Ev e sono evidenti i riferimenti ai Throbbing Gristle di Heathen Earth nell’uso dei fiati – ma emergono chiaramene peculiarità locali nelle cadenze che ricordano le processione dei mamuthones, dub industriali e psichedelici, voci che spaziano da cantilene esoteriche a poco rassicuranti haka (interessanti le analogie morfologiche che si evidenziano fra suoni della Sardegna e di altri luoghi). Personalmente avrei visto di buon occhio un intervento di editing teso a selezionare ed assemblare i non pochi momenti felici dell’intero lavoro – ascoltando ho alternato attimi di grande trasporto ad altri di distacco – ma la cosa ci avrebbe consegnato un disco molto lontano da quelle che sono le intenzioni del collettivo: un documento di etnografia musicale psichica che ha la forma di un suono senza compromessi che non si limita a raccontare l’esperienza ma cerca di farla vivere. Un disco, se capite cosa intendo, più da sentire che da ascoltare.

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