Grande Digitalis che a quanto pare ha scoperto la "major league" italica visto che dopo questo Becuzzi/Orsi ci sta per sparare (pare che sia già in stampa) un Hue–Fhievel–Bianchi, dove Bianchi non è ne per Isidoro ne per Ottavio, ma Maurizio. Questa volta per la par condicio tocca dare priorità al nome di Fabio Orsi visto che di Gianluca Becuzzi abbiamo già parlato diffusamente, resta che si tratta di una collaborazione che metteremo in parallelo al disco uscito su A Silent Place, ma che con esso ha relativamente poco a che spartire.
Il primo dei due CD parte sommesso per lasciare spazio alla navigazione di un loop melodico, si capisce fin da subito che The Stones Know Everything, se per certi versi può fare da buon compendio a Muddy Speaking Ghost, è comunque un disco diverso, soprattutto concettualmente. Sia per il formato che per le dinamiche delle singole tracce, direi che si tratta di un disco più denso e più pesante, le atmosfere sono più melmose e tutto sembra dilatato a macchia d'olio. Nonostante ciò, a differenza di quanto si possa erroneamente immaginare, le melodie ci sono e neppure in secondo piano infatti vengono a galla, ma certo non prima di essere rimaste in apnea sotto la superficie visibile. Potrei quasi dire che la distanza che separa questi due dischi è la stessa che divide due pezzi dei Pink Floyd come Astronomy Domine (campagna per il recuperto delle cover dei Voivod) e Set The Controls For The Heart Of The Sun, dove quest'ultimo potrebbe tornare utile per il disco di cui stiamo parlando. Se il parallelo non fosse ancora chiaro diciamo che mentre l'altra uscita era un po' più fruibile (certo non un disco pop), questo è un doppio più impegnativo e di nicchia. C'è da dire che se siete tarati su Stars Of The Lid, Philosopher Stone, Amp e Magnog in questo disco affonderete come A.c.a.b. nel ventre di Moby (Dick) e questo senza patire tutte le pene di un Gregory Peck o del resto del Pequod. Le melodie di Orsi sono molto ispirate, ma la sovrapposizione di strati di Becuzzi (e credo dello stesso Orsi) crea dei veri e propri banchi di nebbia. L’altro giochino "buffo" sta nel fatto che il CD con meno pezzi, quindi quello che si potrebbe supporre più massiccio, alla luce dei fatti è quello che risulta più morbido. Nel secondo dischetto le melodie vengono disposte di modo da poter abbracciare subito l’ascoltatore, ovviamente vengono ritratte dopo aver compiuto il loro naturale percorso, ma il "viaggio" rimane sonnolento e forse meno impegnativo. Un disco più che mai dronico e psichedelico da cui un estratto non avrebbe sfigurato su una vecchi raccolta low-price della Kranky e questa volta la menzione è più che mai pertinente credetemi. Se avete fatto dei droni e degli acidi una ragione di vita (e di morte) come Barrett, questo doppio CD è il modo migliore per avvicinarsi al duo, per tutti gli altri meglio andare per gradi e partire da Muddy Speaking Ghost. Doverosa la menzione al catalogo dell Digitalis che oltre ad arricchirsi di nostri "paisà" si è sparta una serie di mostri come Volcano The Bear, Christina Carter e quel John Clyde-Evans aka Tirath Singh Nirmala a cui gli Hood hanno anche dedicato un pezzo essendo quel mito che gli fa (faceva?) gli arrangiamenti di archi sui dischi. C'entra con Orsi e Becuzzi? Forse no, ma potrebbe piacere allo stesso pubblico: quindi oltre ai Voivod recuperatevi pure lui.