Partiamo dai Devo. La loro Timing X, da Duty Now For The Future, è ripresa per intero dai Gay Beast e riproposta abbastanza fedelmente in coda a White Diamonds, quarta traccia del loro nuovo Second Wave. E le scansioni robotiche dei Devo potrebbero essere un buon paragone, anche se non completamente esaustivo. Le chitarre atonali e la strumentazione usata dal trio, chitarra, tastiera e batteria, fanno pensare ai DNA di Arto Lindsay e Ikue Mori, o più in generale a certi suoni provenienti dalla città di New York sul finire degli anni ’70 e nei primissimi anni ’80.
A dimostrare che il tempo non è passato invano, i Gay Beast riescono però a fagocitare queste influenze, miscelarle con altro (è un paragone azzardato e che può mandare fuori strada, ma io ci sento qualcosa anche degli Henry Cow, diciamo una versione demente del gruppo inglese) e a tirare fuori una decina di brani che rispetto allo standard Skin Graft, già di per se molto buono, è persino superiore. I punti che giocano a favore del gruppo, oltre alla capacità di inserire gli elementi più disparati, in particolare uno spiazzante sax free che compare in molti dei dieci pezzi, sono essenzialmente la voce, che è fondamentalmente melodica, ma comunque malatissima, i ritmi ipercinetici, ma che si mantengono ben lontani dalla gratuità di un Kevin Shea tanto per dire, e infine un senso del groove, comune a tutti gli strumenti, particolarmente deviato ma molto efficace. Parlare di ritmi dance in effetti sarebbe troppo, ma i pezzi sono continuamente in tiro, grazie spesso alle pulsazioni della tastiera. La chitarra, da parte sua si riserva il compito di disegnare riff che ora la doppiano, ora si fanno acidi e atonali, ora noise. Bel disco, senza ombra di dubbio.