Faten Kanaan – Afterpoem (Fire, 2023)

Faten Kanaan ha mani leggere e visione d’insieme. Il suo quinto album, Afterpoem, rimane nell’aria durante l’ascolto, con le tessiture aeree che la musicista mediorientale dipinge con tasti e note. Velature ondeggianti, struggenti ed elegiache a tratti, come Ebla, vero e proprio fantasma di una città distrutta nel II millennio avanti Cristo. Ma Faten è abile a cambiare registro, talvolta nello stesso brano, come un Florin Court che da giocoso e colorato rallenta, fino a diventare una commovente soggetiva. I brani sono semplici, quasi degli appunti che ci colpiscono per freschezza e piglio senza caricarsi di inutili sovrastrutture, denominati da titoli che ci presentano una sorta di rappresentazione breve, quasi una riduzione della poetica o, appunto, la sua aria. In Votive par d’essere al cospetto di un coro greco, gommoso e plastico, quasi una riduzione giocattolo del recente lavoro di Christina Vantzou. Una voce, poco più. Ancora, immobili drammaticità, scacchi vezzosi, per concludersi in una storm signal che forse rappresenta la chiosa perfetta di Afterpoem. Pulviscoli che di librano nell’aria ma che, pur leggeri si accorgono di avere un peso ed inevitabilmente scendono, lasciando spazio al silenzio.