Elio Martusciello – Esercizi per esistere (Dissipatio, 2024) Nazim Comunale/Peter Bartlett – Esercizi per esistere (libro Dissipatio, 2024)

Nel mondo delle creature sottili
muti e vivo
guerrescamente felice
tra le nebbie d’inizio secolo
sto con gli inquieti del sud
conto i mesi del cuore storto
e ciò che si ruppe
nel guscio sacro
Esistere una mezza giornata. Resistere

Per puro caso ho aperto, preparandomi all’ascolto dell’ultimo disco di Elio Martusciello, il libretto di poesie e dipinti (a cura rispettivamente di Nazim Comunale e Peter Bartlett) sulla pagina che ospita la poesia che titola l’intera raccolta. Esercizi per esistere, titolo stupendo, che credo possa riassumere operato e sbattimento di ognuno di noi.
L’opera, pur divisa fra musica, poesia ed opere visuali, appare più coesa di quanto sembri, non semplice da vivere separatamente. La perenne sensazione è quella di voler curiosare in ogni lato, angolo, momento per trovare un proprio spazio, per esistere insieme al frutto del lavoro di Elio, di Nazim, di Peter. Ad aleggiare, nella mente durante l’ascolto, è soprattutto il sentore di una figura umana che sembra librarsi faticosamente leggera su musica, pagine e tele. È un suono aereo quello che le chitarre e le percussioni, mediate dall’informatica creativa del musicista napoletano creano, a tratti coadiuvate dalla voce angelica di Alexandra Starasciuc, altro punto di un lavoro sfaccettato, che rimbalza sensazioni ed armonie da una parte all’altra dei nostri emisferi cerebrali. La sensazione, a tratti, è quella di essere fuori scala ad un lavoro del genere, non livellato ad un ascolto metodico, procedurale ed analitico. Esercizi per esistere parte da un nocciolo intimo che si fa materia, esperieza ed unione personale. Le parole di Comunale vanno a perdere un significato piano inerpicandosi nelle opere di Bartlett, che segnano con la loro disposizione un possibile pentagramma sul quale Martusciello gioca, chiudendo di nuovo un corso. Colori, suoni che riecheggiano nel nostro gulliver e che rimbalzando cercando le dizioni più corrette dettate da una nostra sensazione istintiva. Con La luce ti sfiora poi le parole di Alexandra sembrano assumere sembianze digitali, incorpreee e disumanizzate, quasi tutto il percorso fosse stato un miraggio giostrato per portarci ad un’esistenza laterale, virtuale e non vissuta. Anche in Mappa, sempre così, quasi ci mancasse un passo per comprenderci, come fossimo su due livelli differenti, in un’empasse che riempiamo nutrendoci di suono che respira come un mantice, di colore e di parole mute. Così fino al termine del lavoro, con una title track che finisce di entrarci letteralmente sottopelle e che continueremo a masticare silenziosamente, decifrando immagini pittoriche e poetiche.