Andrea Ongarato, in un’intervista rilasciata a Nazim Comunale per Sentireascoltare nel gennaio del 2020, parla dei dTHEd come un progetto in cui “…questo impianto tecnico/teorico veniva applicato a delle canzoni, dei brani brevi e non una qualche formula aperta con durate lunghissime come magari già accaduto in passato”. Questa convivenza viene amplificata ancora di più nel loro nuovo tassello produttivo, sul quale ci siamo chinati con una recensione ed un’intervista.
Isobel Blank, Simone Lanari e Fabio Ricci, i dTHEd, sono tornati.
Tornati molto differenti, con uno scarto che, pur lasciandoli in un limbo oltre la terraferma, quasi li congiunge in un’altra dimensione a noi preclusa, od in uno stato di veglia in qui poter osservare il mondo con occhi diversi. Partendo da un’improvvisazione di circa 50 minuti dTHEd costruisce un percorso di desolazione elettro acustica in 5 brani, ai quali si vanno ad aggiungere parti visive quali costruzioni architettonicamente lanciate verso una disfatta, 10 stampe numerate ed un’ambiente interattivo, creato da SCUAL dove la materia verte allo scarto ed al rifiuto, al superfluo.
La voce di Isobel viene così maltrattata e costretta dagli arnesi dei sodali, che sembra stiano bruciando in diretta i tasti sui quali incide. Immaginatevi Madame P che si impossessa degli album di the Caretaker venendo soggiogata da un oscuro futuro. Fascino ed inquietudine, shining ed eerie, uno strano magnetismo. Il concept è avvolgente ed affascinante ma la polpa sonora già basta a definire uno scenario in cui gli equilibri sono ormai stati interrotti e ci si graffia nella decadenza. Sono suoni inariditi, come dei Books ai quali sia stata levata la gioia, testimoni di quello che non sarebbe dovuto succedere. Rispetto alla loro precedente opera lunga, quell’Hyperbeatz vol.1 che molto stimolò musicisti ed addetti ai lavori grazie ad un lavoro di indagine su Hypermusic e percezione qui ci avviciniamo a temi più carnali, seppur evanescenti. Temi che, forse, sono limitrofi a quelli che in senso inverso sta percorrendo Holly Herndon, o forse sono semplicemente la legittima ricerca di artisti contemporanei, che lavorano ed operano in diversi ambiti e sono soggetti a stimolazioni differenziate.
Nonostante tutto, esulando dal contesto, dall’immaginario, dalla poetica, dTHEd non riesce a fare a meno della propria innata grazia e bellezza, per un altro disco che si prospetta essere un ulteriore scalino nella oro scala di valori.
SODAPOP: dTHEd appare, da sempre, come progetto a più piani di lettura. In questo caso, conl’uscita di It Turns Out You Don’t Need All That Stuff You Insisted You Did riflette sull’accezione e sul bisogno del superfluo: tema quantomai delicato se affrontato con una creazione. Quanto questo possibile paradosso vi ha motivato nella creazione di quella che è una grossa trasformazione (sonora e materica) di dTHEd?
DTHED: Creare significa portare in vita qualcosa che prima non esisteva: plasmare materie prime in strutture definite; di fatto la creazione è un atto che lavora contro il secondo principio della termodinamica (la tendenza dei sistemi fisici di svilupparsi verso l’aumento entropico). Per questo è così faticosa! Al di là di pochissime eccezioni, la creazione è una buona rappresentazione della famosa frase di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Per chi è al di qua della creazione, l’atto creativo non è mai superfluo, anzi, direi che è necessario. Il paradosso dunque non si pone, se non nel momento in cui si vuole fotografare la creazione e renderla accessibile a terzi o, peggio ancora, commercializzarla.
E lì tocchi un tasto dolente. La musica come sai bene negli ultimi 20-25 anni ha subìto una trasformazione epocale, soprattutto in termini di supporti fonografici, vendite, ecc. Gli ultimi 3 anni con la pandemia e la guerra in Ucraina non hanno fatto altro che esacerbare la situazione e chiaramente oggi stampare fisicamente un disco è una scelta quanto meno controversa. Noi abbiamo scelto di non stampare ITOYDNATSYIYD su supporto, in linea col titolo del progetto: possiamo fare a meno di moltissimi degli oggetti a cui siamo affezionati e possiamo fare a meno di accumularne di nuovi. La musica non ha davvero bisogno di un supporto fisico, ma solo di essere riprodotta e, soprattutto, vissuta, esperita.
SODAPOP: Che tipo di accordo e di riflessione intercorre fra i tre membri prima di ideare quello che è un percorso (credo) di mesi se non di anni?
DTHED: Di solito Simone e Fabio si passano suggestioni teoriche e sonore in continuazione da remoto (siamo abbastanza distanti da rendere le prove molto rare), il più delle volte a partire da condizioni musicali molto specifiche (come in questo caso). Finché non sentiamo che qualcosa ha una forte personalità, non ci soffermiamo molto, andiamo avanti con il dialogo. Per noi passarci file musicali equivale a una sorta di brainstorm acustico, anche perché spesso associamo ai suoni degli studi precisi. Questo succede quasi quotidianamente, da più di 3 anni. Quando finalmente sentiamo che c’è un’idea molto forte o una coesione sonora speciale, ci focalizziamo. Viene coinvolta Isobel – che si occupa principalmente della voce, ma non solo – e in pochi giorni di solito finiamo tutto. In quei giorni di solito parliamo moltissimo e svisceriamo tutti gli aspetti del progetto: teoria, arrangiamenti, overdubs, melodie vocali, mix, grafiche, ecc.
SODAPOP: Siete lontani secoli dall’incarnazione con cui vi ho conosciuto (hyperbeatz vol.1), se vi lanciassi gli Amon Düül II come suggestione prendo lucciole per lanterne?
DTHED: Come da prima risposta, tutto si trasforma… anche noi! Una volta finito hyperbeatz vol. 1, sapevamo che non volevamo fare subito un altro studio sul ritmo, volevamo scrivere musica a partire da premesse diverse. In questo caso l’idea è quella di convogliare tanti suoni digitali (batterie elettroniche, lead synths, pads, samples, ecc.) in una catena di effetti analogici e improvvisare con la sporcizia e l’eccentricità del sistema in maniera creativa, musicale. Abbiamo in cantiere hyperbeatz vol. 2 che, come per il primo volume, sarà un progetto che parte da studi sul ritmo per arrivare all’arrangiamento di musica vera e propria, ma è un progetto molto ambizioso, che speriamo di far partire nel 2023. Ci vorrà tempo.
ITOYDNATSYIYD nasce con l’intenzione di essere sporco, eterogeneo, diverso da qualsiasi cosa che avessimo fatto prima, con un alto potenziale per live sempre imprevedibili – a partire dal medesimo set-up.
Tu citi gli Amon Düül II, il che mi sorprende moltissimo, perché era un periodo storico completamente diverso, premesse diverse, strumenti diversi. Credo che il parallelo che senti sia relativo forse alla libertà espressiva e al sound poco ortodosso. Sbaglio?
SODAPOP: Esatto, mi sembra anche però di percepire uno scarto, una rottura (sia intrinseca nel progetto rispetto al vostro passato, sia rispetto ad una parure musicale attuale) che si collega tramite network ed immaginari diversi alla realtà. La costruzione di questi mondi (penso al lavoro fatto da Scual in questo caso ma anche ai ritratti di hyperbeatz vol. 1) ed il porsi su un altro piano mi portano a pensare ad accadimenti artistici vicini e lontani. Burial e Muslimgauze in primis (nella parte del mistero e dell’immaginario), Starfuckers/Sinistri nel distacco sonoro, ma anche le quattro compilation stagionali e misteriose uscite per il decimo anniversario di Boring Machines: suoni che si concretizzano anche nell’assenza del musicista, nel mistero, nella promozione ad un ascolto attivo e di una ricerca da parte dell’ascoltatore a costruire parti mancanti della storia.
DTHED: Assolutamente sì. ITOYDNATSYIYD è un progetto multimediale che lavora su diversi livelli, in maniera diversa da hyperbeatz vol. 1. Oltre al disco digitale di 5 tracce, ci sono 10 poster diversi in stampa unica (ebbene sì, qualcosina l’abbiamo stampata!) a cui sono associate 10 tracce bonus (ognuna diversa) che vanno a comporre una sorta di album parallelo e delocalizzato (chi prende 1 poster avrà, oltre al disco ufficiale, 1 sola delle 10 tracce extra – rendendo di fatto impossibile a chiunque sentire il lavoro intero). L’ineffabilità è intrinseca al progetto.
Ma anche la costruzione di immaginari diversi dalla realtà e l’idea di promuovere un ascolto attivo sono aspetti cardine di ITOYDNATSYIYD. Infatti abbiamo collaborato con l’artista Scual il quale ha creato per noi un ambiente interattivo “DeChirichiano” in cui si può fare un’esperienza di gameplay legata alla release. Nell’ambiente vi sono una serie di easter egg che, se sbloccati, permettono l’ascolto di una delle 10 tracce bonus. Chi ha la pazienza e la curiosità potrebbe, in teoria, sentire tutte le tracce bonus, giocando a ripetizione sul nostro ambiente. Come vedi ci vorrebbe molta tenacia (ascolto estremamente attivo!) e comunque non permetterebbe una fruizione lineare del progetto, per cui l’ascoltatore dovrebbe sempre costruirsi da solo i pezzi mancanti, senza davvero avere mai la certezza che siano giusti o completi.
SODAPOP: Quanto mistero ed immaginario sono parti importanti di dTHEd?
DTHED: Tantissimo. Come sai, una delle ispirazioni principali di dTHEd è la neurodiversità: un mondo dove mistero e ipersensorialità sono il pane quotidiano; dove aleggia una sorta di magia intrinseca dovuta a nessi di causalità quasi sempre inaccessibili dall’esterno, un mondo che è costante fonte di meraviglia e di attrito. Per rievocare un effetto simile, dTHEd opera con norme enigmatiche, lasciando grande spazio all’immaginario personale. Il mondo DeChirichiano sviluppato da Scual ne è un esempio perfetto. In un’era in cui l’informazione e la disinformazione inondano i nostri sensi, crediamo che sia più interessante non fornire spiegazioni. Se ci pensi, tutte queste AI text-to-image che adesso sono sulla bocca di tutti, altro non sono che la nuova versione dell’oracolo di Delfi: ti rechi al suo capezzale e l’oracolo sputa fuori la sua rivelazione… qualcosa di inedito, disturbante; un mistero da decifrare. Tutti i riferimenti che menzioni prima (Burial, Muslimgauze, Starfuckers) sono pilastri, che piacciano esteticamente o meno, nella creazione con approccio esoterico: vi è una meccanica interna che funziona solo lì, sono mondi che necessitano un’iniziazione. Sono come dei koan sonori: non esiste una spiegazione, sono dispositivi per l’illuminazione. Questo tipo di approccio è anche il nostro.
SODAPOP: Musicalmente ho percepito nell’album una sensazione di paura, soprattutto legata alla voce di Isobel, quando appare. La presenza della voce non sembra qui avere compiti empatici ma quasi di avviso totemico e rituale. Le voci femminili che più mi piacciono e mi stimolano sono quelle che oltre a sorprendermi riescono a farmi guardare dietro le spalle (in Italia mi è successo con Alos? più volte, con Cinzia Le Fauci dei Maisie, con Madame P, con Bebawinigi). Che tipo di processo avete adottato come dTHEd in questo senso lavorando sul suo inserimento?
DTHED: Esiste uno spazio tra la parola e il canto, una distanza che permette di separare il verbo dal suono, di discernere tra la dimensione corporea, viscerale e quella comunicativa di una lingua. Il lavoro sulla vocalità in dTHEd è fino ad ora andato ad inserirsi in quello spazio, cercando percorsi alternativi a quelli della verbalizzazione, che si potessero esprimere in assenza di linguaggio. Questo elemento può già intrinsecamente condurre l’ascoltatore a una sorta di estraniazione, occultando di fatto un orizzonte di senso e ponendosi enigmaticamente oltre la comunicabilità. Ma se si pensa all’empatia come una sorta di “sintonizzazione affettiva” con l’altro o con il mondo esterno in generale, si può forse rintracciare in realtà una vicinanza inaspettata con l’emotività dell’umano nel periodo apocalittico che stiamo vivendo. In questo senso la voce potrebbe esprimere nient’altro che una diretta risonanza del sentimento collettivo odierno. I modi sono vaticinanti, spettrali, sospesi: un avviso ad andare là dove non vorresti spingerti. Il processo di inserimento della voce solitamente vede un iniziale confronto a tre per l’individuazione delle parti più adatte all’aggiunta un ulteriore elemento. La fase di genesi della melodia ha poi una fondamentale componente improvvisativa, che permette di creare il materiale di base. Si valuta poi se e dove intervenire in seguito per eventuali manipolazioni, fratture e ricomposizioni, a seconda delle suggestioni del singolo pezzo.
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SODAPOP: Nel comunicato stampa parlate anche di sviluppi di misteriosi oracoli digitali. Dopo 300000 anni, credete che il genere umano possa comprendere determinati messaggi? Prima citavate l’oracolo di Delfi ma il presente ci dà la fotografia di una società che riesce raramente ad andare oltre all’oroscopo sui quotidiani e che non sembra avere una visione oltre la realtà od oltre una virtualità che ne esaspera i lati ricercati. Con ITOYDNATSYIYD, i suoi riferimenti alla metafisica ed all’altrove, credete di poter lanciare dei messaggi decodificabili da un possibile target di azione? Qual è il vostro target?
DTHED: È difficile stabilire un target preciso per i nostri lavori. Diciamo che puntiamo verso chi è interessato alla musica sperimentale, intesa come “esperimenti musicali”. Gli esperimenti si sa, possono produrre le cose più disparate, poiché il processo si pone eminentemente al di fuori da canoni prestabiliti. Non sei in controllo. È vero, il presente pullula di astrologi, terrapiattisti e quant’altro, ma il destino infame dell’oracolo è quello di non essere mai creduto. Il che non inficia l’avverarsi delle profezie, anzi. Vedi alla voce iperoggetto: cambio climatico.
Non pensiamo che i messaggi di dTHEd siano del tutto decodificabili, per la propria stessa natura; ma possono creare i presupposti per aprire porte inedite verso se stessi. D’altra parte nel tempio di Apollo, dove si trovava l’oracolo di Delfi, campeggiava la scritta “conosci te sesso”.
SODAPOP: Mi piacerebbe spingervi verso la fine di questa chiacchierata per poter lasciare gli altri ad esplorare ed a bagnarsi nel vostro mondo. Il discorso sul superfluo però non ci esime dal necessario. La musica è molteplice e sfaccettata in quanto ascolto ed in quanto processo creativo. Dovessimo perderla, da cosa ripartireste con dTHEd? Un brano, una frequenza, uno strumento, una persona, un incontro, una facoltà, un organo, un gesto. Una cosa, solo quella. Perché?
DTHED: Prima di rispondere ti volevamo ringraziare per questo splendido confronto, è stato molto profondo. ITOYDNATSYIYD parte proprio dalla dicotomia fra superfluo e necessario e su come questi due piani possano essere confusi nell’accelerazione capitalistica. Prima dicevamo di come la creazione sia un atto necessario per chi ne sente l’esigenza, ma che possa risultare superfluo per chi ne fruisce. In più, il sistema di valori di ciascuno di noi non è binario, è una gamma di sfumature mutevole nel tempo. Per cui si potrebbe pensare che il valore della musica sia relativo. Esistono tuttavia alcuni aggregati di significanti che si sono sviluppati da tutti i popoli indipendentemente nel corso dei millenni: le lingue, la matematica, la musica, la rappresentazione visiva. In questo senso possiamo considerare la musica (sia come atto creativo che come atto collettivo, rituale) come un’esigenza primaria dell’homo sapiens sapiens, subito sotto le necessità fisiologiche di base. Ciò che oggi sta venendo meno è proprio l’aspetto collettivo, rituale, dell’esperienza musicale.
In un ipotetico scenario in cui “perdessimo la musica” – nel senso di impossibilità a ricreare, anche mentalmente, tutto ciò che è stato scritto e suonato finora, strumenti scomparsi, memoria collettiva rasa al suolo, credo che partiremmo da un ritmo, ossia una sequenza di impulsi. Perché, assieme alla voce, è la forma primordiale di espressione musicale, perché si può fare anche con i sassi (di sassi ce ne saranno sempre) e perché è il dominio principale della nostra ricerca sonora. Ripartiremmo da dei paleo-hyperbeatz.
Più info su ITOYDNASYIYD – www.stochastic-resonance.net/dthed
Disco digitale – stochastic-resonance.bandcamp.com
Posters – stochastic-resonance.bandcamp.com/merch
Ambiente interattivo – stochastic-resonance.net/dthed-app/