Terzo lavoro per il quartetto cult romano. Benchè la maturità fosse già consolidata nel primo disco anche Papillon si conferma come un prodotto ragionato, provato e vissuto. Amare visioni, disincanto e rabbia dalla Caput Mundi che non lasciano mai spazio alla rassegnazione, preferendo far balenare (idealmente) quella fiammella di speranza che consente a tutti di sopravvivere (soprattutto di questi tempi). La sobria copertina ci riporta alla memoria quell’ Henri Charrière reso celebre da Steve McQueen e Dustin Hoffman nei primi anni settanta: un personaggio epico e maledetto, simbolo della tenacia e dell’instancabile voglia di farcela. I pezzi anthemici e trascinanti come sempre mescolano Clash, oi, rock ‘n’ roll e Gabriella Ferri. L’Appartamento è il singolo: indubbiamente il brano più diretto trascinante dell’ album che però ad un ascolto più accurato rivela tesori più complessi e introspettivi pur nel rispetto della tradizione della band. A nostro giudizio i pezzi migliori sono quelli che chiudono il disco e che spostano visibilmente il tiro dall’oi al pop e al reggae obliquo (In disparte messi da parte – Sottoproletariato). Ancora un disco potente da cantare a squarciagola in squat sudati e imballati di gente: visioni di passato ormai remoto? Allora siete voi che “non avrete mai vissuto”.