Crisis – Holocaust Hymns (Apop, 2006)

Finalmente dopo quasi trent’anni qualcuno si è deciso di a farlo. Stiamo parlando di una raccolta riassuntiva della miglior produzione di Douglas P. e Tony Wakeford del periodo 1977-1980, a nome Crisis. Inutile sottolineare che i semi del decadentismo marziale dei Death in June sono pressoché invisibili, almeno nel suono. Nei testi invece scorgiamo già la mortifera fascinazione per la vecchia Europa, quella sinistra (anzi destra) estetica che tanto farà discutere nei due decenni successivi. Il risultato è un algido post punk inglese, decisamente virato verso le ossessioni e le ripetività di Ian Curtis e della Nuova Onda albionica. Apre la compilation il primissimo singolo del 1978 Holocaust/PC1984 ed è subito dance, disarticolata, nervosa, con qualche spunto Oi! (la B-side): una via di mezzo tra Buzzocks e Pink Flag. Strada facendo (White Youth/UK 78) i toni si incupiscono, la voce di Phrazer si fa strisciante, talvolta declamatoria, ma le seduzioni di Nada! e She Said Destroy restano ancora lontane e di difficile intuizione. Il basso ossessivo e la chitarra gelida evocano piuttosto la Mostra delle Atrocità e Cuore e Anima: i tempi e le influenze, più o meno, combaciano. Il lavoro prosegue con il terzo singolo del 1978 (Peel Session come il secondo) e con il mini Hyms of Faith. Completano il tutto demo vari e versioni alternative. Come ha suggerito l’amico Gagliardi, è un disco talmente fresco che mette d’accordo un po’ tutti: vecchi nostalgici, rockers combattenti e ringo boys. Consigliato a chi crede che Robert Smith abbia ancora vent’anni, a chi è sicuro che Dachau fosse una Disney World ancora da comprendere e a chi pensa che un’esistenza senza bidè sia un’onta per l’intera comunità europea. “We are black, we are white, together we are dynamite”.