Celtic Frost – Monotheist (Century Media/Prowling Death, 2006)

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Quante volte Thomas G. Warrior ci avrà rimuginato sopra negli ultimi dieci anni? Me lo sono spesso domandato. Molte volte mi sono chiesto a che pensasse, mentre se ne stava lì, a riascoltare quel capolavoro assoluto e insoluto di Into The Pandemonium. E soprattutto, quanta gente gli avrà sottolineato tutte le cazzate imbastite e malamente portate a termine dopo quel glorioso 1987? In tanti. Certamente in tanti. Contrariamente a quanto si dovrebbe credere però, in ambito musicale, spesso e volentieri, vengono offerte seconde, terze e addirittura quarte (sigh!) possibilità di redenzione. Quasi mai funzionano, questo lo sappiamo bene. Eppure nella testa dei musicisti e in particolar modo di quelli metal, c’è sempre il germe del “Ma non finisce qua”. Questa volta l’alchimia è riuscita. Tanto erano già avanti i Celtic Frost alla fine degli ottanta che ora questo Monotheist  si aggancia perfettamente a quel romantico mondo malinconico alla William Blake evocato ormai lustri fa. Le strutture, le rappresentazioni, i dipinti che tanto abbiamo amato ci sono nuovamente tutti, rallentati talvolta e con un’attenzione per la voce che mai avevano portato tanto avanti. Thomas G. infatti, la usa definitivamente come strumento, asservito e inserito nelle ossessioni più emozionanti dell’intero lavoro (Dying God Coming into Human Flesh, Os Abysmi Vel Daath ). Ritroviamo inoltre il seguito ideale di Sorrow of the Moon (che solitamente preferisco ricordare come Tristesse de la Lune) con innesti old fashioned wave dalle sonorità altere e profonde alla Sister Of Mercy (Drown In Ashes), ma non scandalizzatevi, la brillante produzione di Peter Tägtgren è riuscita comunque ad equilibrare il tutto senza mai far emergere imprudentemente un elemento più di un altro. E c’è una sorpresa persino per chi si è intrigato con quell’incomprensibile e assurda divagazione di One in Their Pride. Per adesso album dell’anno.