Blastula – Scarnoduo (Amirani, 2010)

Giusto per mettere le cose subito in chiaro, diciamo che per quel che mi riguarda parlando di questo disco siamo di fronte ad un vero e proprio capolavoro. I Blastula in realtà sono la cantante, performer e scrittrice Monica Demuru alla voce e quel Cristiano Calcagnile che oltre ad essere un jazzista stimato ha suonato e suona Anthony Braxton, Cristina Donà, Uncode Duello ed una riga infinita di altri musicisti. Batteria e percussioni assortite (e Calcagnile sfodera un arsenale di suoni a dir poco infinito) e voce, al più qualche altro inserto (armonica a bocca ad esempio), registrazione e produzione splendide e null'altro che serva.
Credo che la Demuru oltre a ricordare un mix inedito fra cose fra Meredith Monk e delle cose etniche (le Faraualla ad esempio), sia anche cresciuta in contesti artistici vicini alla contemporanea ed al teatro visto che si tratta di questo tipo di stile. Calcagnile gioca sempre di fino fra il percussivo ed il puro e semplice colore, dall'ambientazione per i lavori vocali a delle parti più strutturate e continue dove dà modo di sentire che nonostante la sua formazione jazz-colta, si tratta di un musicista di ampie vedute e dagli ascolti parecchio eterogenei. Nenie, ninne nanne, marcette, musica popolare, classica contemporanea, brevi sabba e performance che per alcuni ricorderanno la Diamanda Galas più tranquilla. Nel gioco delle parti Calcagnile e la Demuru si scambiano il ruolo principale e quello dell'accompagnamento all'interno delle tracce. Un disco con un alone fra il magico ed il popolare anche se non ci vuol molto a capire che si tratta di una reinterpretazione colta della materia. Mi ero innamorato di questo disco da quando non era ancora uscito, dopo alcuni minuti di ascolto del promo di questo lavoro ne ero rimasto profondamente affascinato, tanto da chiedere ulteriori informazioni sul progetto e riascoltandolo con un amico (un batterista) l'ho trovato ancora più bello di quanto me lo ricordassi. A completare un lavoro già splendido, una grafica favolosa; si tratta di una busta-box che racchiude una serie di carte ad ognuna delle quali sono associati frasi di testo recitate all'interno del disco ed una serie di immagini e di frammenti di memoria, di ispirazione. Pur non trattandosi di un disco particolarmente cupo mi fa pensare ad una frase di un film tutto sommato mediocre come Shutter Island, in cui lo psichiatra tedesco ricorda a Di Caprio come la radice dela parola "trauma" derivi dal greco "ferita", dalla radice "tro" che sta per bucare, forare ed allo stesso modo in tedesco "traum" voglia dire sogno. Non tutti i drammi sono carichi di sofferenza, non tutti frammenti riemergono con facilità, è un processo che avviene con fatica e spesso a monte di molti sforzi, perché a volte ricordare è molto più scomodo di rimuovere. Non tutto il male vien per nuocere ed a pensarci è un po' l'effetto che fa questo disco, che sembra comunque il frutto di un parto sereno, senza "traum-i", o almeno lo sembra, appunto.