Continua l’esplorazione di Antonelli Cresti nella cultura britannica più nascosta; dopo Fairest Islands e Lucifer Over London, in questo nuovo lavoro, un corposo volume di quasi 400 pagine, vengono indagati i rapporti che le espressioni artistiche d’oltremanica intrattengono con l’esoterismo, i culti spirituali alternativi e le pratiche psichedeliche.
Sebbene l’autore si proponga di analizzare il peso che la fascinazione per l’occulto ha avuto nello sviluppo di certa musica underground (per una volta il termine non è usato a sproposito), essa appare solo come una delle manifestazioni che vengono analizzate, e anche se a partire dal capitolo relativo agli anni ’70 avrà ovviamente uno spazio preponderante trattando il libro di culture giovanili, non sarà la protagonista assoluta, ruolo questo riservato all’esoterismo: scelta rimarcata dall’apparato iconografico, che comprende unicamente immagini di luoghi significativi della Britannia esoterica. Partendo dalle nebbie dei culti pre-romani attraverso il rinascimento e l’età moderna, facciamo la conoscenza di affascinanti personaggi quali l’artista e occultista Austin Spare, l’immancabile Aleister Crowley o la coppia Alex e Maxine Sanders, fondatori della Wicca Alessandrina, le cui vicende si intrecciano con quelle dei protagonisti che hanno trasformato in arte i loro insegnamenti: limitandoci all’ambito musicale, partiamo dal Incredible String Band e Third Ear Band fino ai gotici Paradise Lost e Creadle Of Filth, passando per il prog e la scena industriale, con tutte le sue propaggini. Sono questi ovviamente solo i nomi più noti di una trattazione che ne elenca e analizza a decine, spesso molto significativi, e sconosciuti solo per il fatto di appartenere ad espressioni culturali poco visibili. Nonostante manchi una narratività in senso classico, la lettura è quasi sempre appassionante, conoscendo un momento di stanca solo verso la fine, probabilmente a causa degli argomenti trattati: il neopaganesimo e il metal gotico non hanno certo la forza culturale della Wicca o del primo industrial, giusto per citare due esempi. Originale e felice graficamente (anche se spezza un po’ troppo la continuità della lettura) l’idea di dividere alcune pagine in due colonne, con quella a fondo nero che ospita le interviste mentre il testo continua normalmente nell’altra, nero su bianco. E proprio le interviste (a musicisti, studiosi, uomini di cultura fra cui Alain De Benoist), insieme agli approfondimenti (su Death In June, Genesis P-Orridge e T.O.P.Y.) aggiungono ulteriore valore a questo lavoro. Come è tipico per volumi del genere il libro funziona come un ipertesto: nemmeno con un’enciclopedia sarebbe possibile esaurire un discorso così ampio o multidisciplinare, ma tutti i punti focali vengono messi in luce e tutti i nomi più importanti fatti, dando così al lettore la possibilità di andare ad approfondire i discorsi che più lo interessano, aiutato in questo da un ottimo apparato di note e bibliografico.