K11 – Another Temple To The Great Beast 666 (Utech, 2013)

Pietro Riparbelli riprende la sigla K11 e torna sul luogo del delitto, quell’Abbazia di Thelema a Cefalù che già era stata protagonista di Voices From Thelema del 2008. Siamo al cospetto, ancora una volta, di un lavoro complesso, intrigante e con vari livelli di lettura che, al di là del concept, ruotante attorno al pensiero di Aleister Crowley, sembra presentare una summa di tutti i progetti recenti del nostro. Ad esso si associa un raffinato artwork, opera del collettivo Viral Graphic, sul quale sarà il caso di spendere qualche parola.
Il modus operandi di Riparbelli è quello che conosciamo, suoni catturati sul posto con ricevitori a onde corte e poi rielaborati in studio; in linea con le passate produzioni è anche il risultato, che possiamo catalogare come dark-ambient; ma non c’è nulla di semplice o scontato in quest’opera, e per quanto nel breve spazio di una recensione e con le nostre poche conoscenze in campo esoterico sia impossibile andare a fondo alle questioni, proveremo a trovare una chiave di lettura. I titoli delle composizioni fanno riferimento alla cabala, ai tarocchi e a concetti e valori numerici a essi collegati, mentre il brano conclusivo evoca la Grande Madre, figura fondamentale nella visione esoterica del Mago: chi conosce l’opera di Crowley avrà certamente qualche elemento d’interpretazione in più, nondimeno l’ascolto attento farà chiaramente intuire quale sia la conclusione del percorso anche ai non iniziati. In apertura, la solenne Unio Mystica, fra organi chiesastici, stridori d’uccelli e pietre che si sgretolano, getta un ponte fra quello che è oggi l’Abbazia e quello che avrebbe potuto essere, quando dalla quiete iniziale si passa all’evocazione di forze ctonie che, nella seconda parte, elevano maestose cattedrali di rumore (o forse è il grido dell’anima che cerca di raggiungere l’assoluto?): il sentimento del sublime in musica. Da qui in poi il disco alterna con regolare cadenza momenti più meditativi (Tiphereth, Geburah) al altri di minaccioso rumore: C’Hocmah – 17 mette i brividi con urla quasi black metal e la sensazione che si siano evocate forze incontrollabili, mentre la conclusiva The Great Mother è un muro di dolore dietro cui si estende una landa desolata, forse una catarsi, forse la dissoluzione definitiva del sé (ma c’è poi differenza?). Ci riporta alla realtà, sorprendentemente, lo squillo di un telefono, suono familiare ma, in questo contesto, totalmente alieno. A rimarcare la complessità dell’opera e il suo essere in continuo divenire, è l’artwork elaborato dalla Viral Graphic: una busta di plastica trasparente contiene, oltre al CD e al foglietto dei credits, cinque acetati raffiguranti rispettivamente dei ruderi, il volto di Crowley, una texture informale, delle punte di frecce, una mascella di animale. Sovrapponendoli, analogie si creano e svaniscono, forme si legano e si dissolvono, senza mai permetterci di raggiungere un assetto definitivo e innescando quel gioco di rimandi e intuizioni che abbiamo già ritrovato nella musica. Non è un lavoro semplice Another Temple To The Great Beast 666, ma d’altra parte quelli di Riparbelli non lo sono mai. Nella recensione del precedente Three Days Of Silence notavamo come l’ascolto ispirasse il desiderio di visitare il luogo in cui il disco era stato registrato: in modo non dissimile, questo fa venire voglia di approfondire le fonti. Nell’opera di Riparbelli il disco non è mai un punto d’arrivo ma, per quanto in sé completo e assolutamente autonomo, una tappa intermedia: dalla realtà si parte e alla realtà si torna, ma il processo di elaborazione del suono ce la restituisce irrimediabilmente mutata. Più chiara o più oscura? Questo sta a voi stabilirlo. Quello che ci pare evidente è invece la volontà, perfettamente compiuta, di realizzare quanto auspicato nel titolo: il seme del suono raccolto a Thelema, germoglia e, ad ogni ascolto, porta all’edificazione di un nuovo tempio, un tempio sonoro, che è al contempo tributo ed evocazione.