VÄLVĒ, sognare ad occhi aperti

Gran secondo disco per Chlöe Herington ed Emma Sullivan, aka VÄLVĒ su Slowfoot Records. Una raccolta di canzoni oblique che ci spalancano un mondo caleidoscopico e spettrale. Ne ho parlato con Chlöe per capire come vengono costruiti questi piccoli marchingegni perfetti.

Sodapop: È stato molto emozionante ascoltare brani come Delicate Engines e Lights (Sparkled) finalmente registrati! Li ho ascoltati dal vivo diverse volte; ho visto spesso i VÄLVĒ esibirsi dal vivo a Londra nel corso degli anni, per esempio ricordo una volta al leggendario Albany di Deptford… una volta ho persino lavorato alla porta in uno dei vostri spettacoli al Servant Jazz Quarters! Chlöe, raccontaci di più sull’origine e sullo sviluppo di questo bellissimo progetto.
Chlöe: Tutto è iniziato più di dieci anni fa in un periodo in cui ero impegnata a registrare strani rumori e percussioni poco ortodosse. Questi esperimenti si sono evoluti in composizioni di sound art per artisti come Tai Shani. È stato veramente liberatorio trovare uno spazio creativo in cui i miei esperimenti potessero svilupparsi e trovare la loro ragione di essere.
In seguito Elen si è aggiunta all’arpa per una mostra alla Hayward Gallery e successivamente si è unita Emma, ​​già mia compagna di band in Chrome Hoof; abbiamo sviluppato ulteriormente il nostro materiale suonando in duo, in trio o semplicemente io in solo. Elen ha poi lasciato il set dal vivo a causa di impegni di lavoro, ma suona e canta nell’album e la presenza dell’arpa rimane complessivamente importante per il nostro sound. Elen rappresenta una parte molto importante dello sviluppo dei VÄLVĒ. I VÄLVĒ crescono e cambiano, il che è estremamente emozionante.

Sodapop: L’album presenta un elenco di collaboratori fantastici, tra cui Kavus Torabi dei Gong, il compositore e direttore d’orchestra Craig Fortnam, Frank Byng degli Snorkel e dei This Is Not This Heat e capo della Slowfoot Records. Come sei venuta in contatto con questi magnifici musicisti? Come li hai coinvolti nell’album? Hai scritto i brani con il loro contributo già in mente?
Chloe: Kavus è un compagno di band di lunga data sia in Chrome Hoof che in Knifeworld e il suo harmonium si presta magnificamente a Perfumes Of Arabia, un intervento che ammorbidisce il drone portante del brano. Vivo con Craig e suoniamo spesso sui dischi l’una dell’altro. Ho incontrato Frank ad un concerto di Prescott, siamo diventati amici e suoniamo insieme anche nella band di Daniel O’Sullivan; è uno dei miei batteristi preferiti, insieme a Cutler. È un batterista molto musicale e la scelta più ovvia per suonare con VÄLVĒ dal vivo. Il mio processo prevede dapprima scrivere e registrare e poi pensare a come organizzare la performance live. Mi piace tenere il tutto aperto e in grado di accogliere ulteriori sperimentazioni.

Sodapop: Dal comunicato stampa: “La voce di Herington è lucida, quasi impassibile, ad esempio in Delicate Engines. La traccia si basa su un terrificante sogno infantile, una meditazione sulla vulnerabilità della psiche”. Davvero ben detto! Cercavo parole che descrivessero le mie impressioni su alcune di queste canzoni. Trovo che la combinazione di strumentazione “calda” (arpa, pianoforte, tromba, violino) con suoni elettronici, così come questo approccio distaccato e freddo al cantato, siano punti di forza dell’album. Il risultato è stranamente inquietante e terrificante. Come qualcosa di inquietante che emerge da un’immagine perfettamente pacifica e innocente. Come il dettaglio dell’«omicidio» nella foto di «Blow up» di Antonioni. È qualcosa a cui hai pensato mentre scrivevi queste canzoni, qualcosa di consapevole?
Chloe: Anni fa ho visto la produzione di Medea di Deborah Warner a Londra e il modo incredibilmente semplice e quasi casuale in cui veniva presentata la scena del delitto ha lasciato un segno profondo nella mia memoria. Risultava ancora più brutale a causa di ciò che veniva escluso, non mostrato, e il risultato era veramente scioccante. Ricordo che c’era un palco vuoto e l’unico suono era quello di una radio. Mi piace che le cose siano un po’ inquietanti: ci porta a mettere in discussione ciò che sta accadendo e ad interpretarlo a modo nostro invece di accettare semplicemente ciò che abbiamo di fronte. Forse semplicemente mi piacciono gli abbinamenti improbabili e i riflessi più inattesi!

Sodapop: Il nome di Brian Eno viene menzionato in alcune recensioni entusiastiche riportate nel comunicato stampa e ne posso capire la motivazione. Personalmente ritengo che esista un fil rouge di musica britannica che si colloca a metà tra la tradizione folk, i suoni industriali, field recordings, soluzioni no-wave, e la lista potrebbe continuare. Penso che Slowfoot Records sia la casa perfetta per questo tipo di musica. Questa ipotetica lista che ho in testa include Daniel O’Sullivan, Kate Bush, Charles Hayward, Coil… Pensi che i VÄLVĒ appartengano a una tradizione non convenzionale nella musica britannica, o ti piace pensare a questo progetto come qualcosa di unico e a sé stante? Anche tu sei d’accordo sul fatto che Slowfoot Records sia la casa perfetta per un album come questo? Come sei arrivata a collaborare con questa etichetta?
Chloe: Sì, c’è una particolare attitudine alla musica che si interseca con quei generi che hai menzionato, e secondo me è lì che crescono le cose migliori. L’idea di un gruppo di artisti fuori dagli schemi che creano musica identificando un terreno comune senza rinunciare a perseguire la propria strada mi attrae molto. E forse provare a raggrupparli e definirli ne soffocherebbe la creatività. Come gli artisti nella tua ipotetica lista, penso ai VÄLVĒ come un progetto che attinge alla tradizione ma va avanti, imparando e rispettando ciò che è accaduto, ma senza restarne imbrigliato. Frank ha un orecchio eccellente e mi fido ciecamente di lui, quindi era la persona ideale per mixare l’album. Sono davvero felice che ci abbia chiesto se volevamo pubblicarlo su Slowfoot: abbiamo trovato una casa!

Sodapop: Chloe, sei una persona che ho ammirato nel corso degli anni per il tuo coinvolgimento a 360° nella musica. Ti ho sentita suonare dal vivo in diversi progetti; sono stato a concerti da te organizzati. Sei una polistrumentista. Pensi che essere una musicista sperimentale oggi sia una forma di resistenza alla standardizzazione della produzione musicale? Oppure pensi che non ci sia mai stato un periodo più energico e diversificato in termini di produzione musicale?
Chloe: Immagino sia una forma di resistenza: in realtà noi non apparteniamo a nessuna delle caselle relative al “genere” a cui ti devi conformare quando pubblichi un disco e, per quanto sia fastidioso, quando cerchi di vendere un disco. Io preferisco essere originale e indefinibile rispetto ad essere incasellata. E non mi piace che mi venga detto come “dovrei” fare qualcosa! In un certo senso sta diventando più difficile forgiare un percorso non convenzionale nelle arti, ma forse è più gratificante proprio per questo, ed è un momento musicalmente emozionante se scavi un po’ a fondo.

Sodapop: Puoi illustrarci qual è la scintilla che fa scaturire composizioni come Atmos #4 e Perfums Of Arabia, così diverse tra loro eppure così capaci di coesistere nello stesso album? Il procedimento è simile per entrambe le canzoni?
Chloe: Atmos#4 è stata improvvisata utilizzando un pezzo di ardesia che ho trovato in una siepe e una kalimba passate attraverso degli effetti; l’ho registrata molto velocemente di ritorno da una passeggiata. Perfumes Of Arabia non è un mio brano! È una cover di una canzone di Maggie Holland, registrata ed eseguita completamente a cappella. Quando si è trattato di arrangiarla con altri suoni, ho usato la radio, in parte per il riferimento nei testi, ma anche per il rumore caotico che conferisce, ricreando il rumore dei media da cui siamo bombardati. I droni la completano e il coro alla fine aggiunge una sorta di responsabilità collettiva nei confronti del testo iniziale.
D’altra parte, canzoni come Man In The Moon e Gertrude’s List provenivano in modo più convenzionale da idee di melodie e riff che avevo in mente. I testi fanno riferimento, il primo a un gatto di una poesia di Yeats che ha una relazione coercitiva con la luna (c’è un cenno al racconto di Wiltshire Moonrakers) e il secondo a cosa accadrebbe se Gertrude Stein scrivesse una lista che però si strappa e vola via nello spazio.
La melodia di The Hot House è stata un errore: ho iniziato a scrivere un pattern di batteria midi per qualcos’altro, ma per sbaglio l’ho trascinato in una traccia melodica in midi. E mi piaceva di più come melodia!
B-612 è stata un esperimento: ho scritto alcuni riff e una vaga struttura generale in tre parti; ho dato il tutto ad Alex Thomas (Chrome Hoof/Anna Calvi/John Cale) e l’ho lasciato libero con l’unica istruzione di suonare in 4/4 anziché nei 6/4 dei riff. Gliel’ho chiesto perché il suo stile di batteria è completamente opposto a quello che ti aspetteresti dai VÄLVĒ e volevo provare ad arrangiare una traccia sulla batteria piuttosto che il contrario. Mi è sembrato molto primordiale e questo ha dettato in una certa misura il modo in cui la traccia si è sviluppata. Mi piace provare cose, non ho un approccio fisso al modo in cui scrivo: sarebbe noioso.