Rotadefero – Discodefero 7” (Zen Hex, 2017)

Cristiano D’innocenti e Tommaso Garavini erano, un eone fa, batteria e voce dei romani Concrete, un gruppo che definire hardcore – per quanto quello fosse l’ambito entro cui si muoveva – è estremamente riduttivo. A legare quell’esperienza a questa nuova avventura rimane il nome (Rotadefero, insieme al metallo della morte, era uno dei tormentoni della band romana) e un suono percussivo e metallico che negli ultimi tempi il gruppo praticava dal vivo maltrattando bidoni e fusti di birra; nient’altro ed è giusto così: si va oltre, non solo dal punto di vista musicale. Rotadefero è un progetto complesso che si espande su vari piani e con vari media: un 7” one-side in metallo che si nega come supporto audio (sconsiglio vivamente di appoggiarvi una puntina) ma sottolinea l’importanza dei materiali, due brani (Nord e Sud) scaricabili grazie al codice accluso, due video dei suddetti pezzi che mettono in scena corpi e spazi, una confezione dalla complessa concezione (tutta da decifrare nelle forme e nelle parole), delle esibizioni dal vivo già leggendarie di cui qua non diremo ma con le quali prima o poi dovremo fare i conti. Il suono della Rotadefero è inevitabilmente stridente e metallico, sa di lastre e barre, ruggine e strumenti da carpentiere ma pur non rappresentando nulla di nuovo in assoluto (padri nobili sono identificabili nel decadentismo industriale dei Test Dept. e nell’esoterismo ritmico di Z’Ev) evidenzia un’urgenza che non conosce mode né età abbinata alla capacità di mettere in luce sfumature non sono così scontate, vista la materia. Nord è un’esplorazione, per mezzo del suono, di moderne rovine industriali: al di là del bellissimo video – coi due musicisti-insetti cronenberghiani che suonano letteralmente il luogo – è proprio la musica a parlarci, misurando lo spazio col suo risuonare e saggiando le qualità fisiche dei materiali. La sostanza è quella propria della musica concreta e dell’industrial ma la forma ha un che di classico con un interludio anche piuttosto lirico (parole e addirittura cinguettii!) che solo a tratti ci fa intuire quello che ci attende in un prosieguo dove le colate di rumore resuscita lo spirito titanico dell’edificio prima che delle campane festose dissolvano la magia (o la stregoneria) come avviene per il sabba demoniaco in Una Notte Sul Monte Calvo di Musorgskij. Sud è più lineare, inizia col metallo graffiato, penetrato da trapani e frustato da catene e si conclude in un tripudio di percussioni tribali degne di oscure tribù post-atomiche; nel video, girato in un bosco e continuamente sfregiato da sfuggenti fotogrammi, la strega di Blair incontra Tetsuo e col sacrificio dei fusti-tamburi gettati del vuoto tutto sembra concludersi. Non è così, il gioco di richiami è continuo e se il suono allude all’impossibile supporto audio, le parole recitate in Nord, due testi pronunciati in contemporanea, ci conducono alla copertina: qui le parole vengono riportate ma ancora mischiate cosicché è necessario separarle per poterle comprendere. Operazione più complessa è comunque, una volta dispiegato il cartoncino che avvolge il 7”, ricomporre i frammenti di frasi riportati all’interno, dato che ogni lembo della copertina ne porterà con sé una parte: suono, tempo e realtà sono concetti che tornano continuamente. Infine, se nel richiudere il tutto non seguirete perfettamente a ritroso le operazioni, vi accorgerete che i due pentagoni intrecciati sul fronte assumeranno altre forme, diverse ma forse logiche. C’è sicuramente anche altro, ma nulla che si possa affrontare in poche battute o trovare facilmente, senza dedicare il tempo dovuto. Sta a ciascuno cercare il proprio percorso e fare le proprie scoperte nello spazio compreso fra il Nord e il Sud: la Rotadefero continua a girare.