Marta De Pascalis – Anzar (Tapeworm, 2016)

Il secondo lavoro della musicista italo-berlinese, stavolta pubblicato su nastro dall’inglese Tapeworm, è racchiuso in una copertina in bianco e nero opera anni ’70 del padre dell’artista: una creatura chimerica, esotica e forse minacciosa che ben si addice a fare da guardiana alla musica contenuta. La ricerca di Marta De Pascalis continua all’insegna dell’improvvisazione con sintetizzatori, echi a nastro ed effetti dal sapore e talvolta dalla forma retrò (chiari i riferimento al suono germanico degli anni d’oro e a certa ripetitività minimaliste) ma che sa talvolta aprirsi verso altri orizzonti. Anzar è un flusso di coscienza in due movimenti che evocano ciascuno atmosfere e sensazioni diverse. Sul primo lato il brano eponimo induce al trasporto con ripetitive linee melodiche che si avvinghiano a spirale e reminiscenze classiche anche se di tanto in tanto, specie verso la fine, qualche suono ruvido denuncia senza timidezza la natura elettronico-analogica degli strumenti utilizzati e l’attitudine orgogliosamente artigianale della De Pascalis: un viaggio coinvolgente senza troppo discostarsi dai modelli di riferimento. Emerso, sulla faccia opposta, è più ostico ma anche maggiormente intrigante: ci si perde meno ma si segue con maggior interesse perché le soluzioni adottate sono spesso poco convenzionali; dopo un illusorio intro alla Popol Vuh assistiamo a un succedersi di scenari che mutano – non senza spigoli – spinti da synth pulsanti che incrociano disturbi quasi glitch, suoni giustapposti capaci di mettere in crisi l’equilibrio, costruzioni che occhieggiano alla free form. Rispetto al precedente Quitratue questo Anzar sembra imboccare un percorso più coraggioso che sviluppa le felici intuizioni che avevamo apprezzato sulla compilation Burnt Circuits KeptUnder My Bed all’insegna di un suono denso ed elaborato, krauto ma senza scordare un certo calore latino. La strada ci sembra quella giusta.