HU, or the crazy gamble of releasing 15 albums simultaneously, to celebrate the label’s 15th anniversary

Partiamo dall’inizio. Etienne Bel, project manager di Yulquen, mi gira questo folle progetto. Un’etichetta ginevrina chiamata HU, per festeggiare il loro quindicesimo compleanno, decidono di pubblicare quindici album tutti insieme.

Che dire? Amo le idee folli, uno dei dischi si chiama come una mia etichetta, ed il costruire pacchetti è un modo per regalare al mondo qualcosa di importante…ma ascoltarli tutti? Quanto ci metterò? Come saranno? Sarà il caso?

In realtà, alla resa dei conti, gli album che sono stati pubblicati ufficialmente ieri sono “soltanto” 8, gli altri 7 verrano pubblicati lungo il resto del mese ma chinarci su una retrospettiva di circa una decina d’ore mi intrigava per il senso di calarsi, completamente in un mondo nuovo e sconosciuto.Inizio un venerdì sera con il lavoro, terminandolo il mercoledì successivo Questi, i dischi in esame, per una durata totale di:

AEROFLOTCruise Control

ENOIAOop

SUNISITSunset

POLDDDD

POL – Karma Consortium

ATMOResonance

ANITANuove Radici

HU – Looped

KILIM MOSHThe Secret Rites of the Kilim Mosh

Inizio con il quarto disco di Aeroflot, coppia di musicisti dediti ad un sottile suono che malinconicamente fa emergere la loro malinconia fra le onde del post-rock e del trip-hop più flebile. Goodbye Ivan e POL, i due titolari del progetto, sono esperti nel portare i limiti dell’orecchiabilità vicino ad un meccanico languore, spezzando poi le ritmiche con una voce aerea, senza peso, che fa volare l’intero progetto. I brani sono super assimilabili ma di personalità, sornioni mentre ti entrano sotto pelle e ti ritrovi ad accennare quegli spontanei movimenti di spalle che ti fanno capire come la direzione sia quella corretta. Le esplosioni di Starship ma soprattutto la capacità di riprendere il controllo dopo la deflagrazione ci danno la caratura del disco. Ipotesi dub che riportano alle canzoni extra ordinarie dei Radiohead, ma anche velleità più libere e felici come in una  Confused Transponder che cambia più pelle di un serpe ondeggiando su un giro di basso sornione. Aeroflot si dimostra progetto guidato con mano ferma, forse potrebbe provare qualche evoluzione maggiore ma in vista di autunno ed inverno saranno di sicuro un mezzo solido con il quale spostarsi. Un ultimo ancheggiamento con Wings e lo scalo è servito.

ENOIA si compone della medesima formazione degli Aeroflot con l’aggiunta di Da Saz ai sintetizzatori modulari. Oop è lavoro composto da sette tracce, nella prima delle quali (la title track)  oltre alla fascinazione per il dub si percepiscono sonorità arcade che ben si sposano con il groove dei tre. Trattenendo le fughe sonore il trio riesce a marcare con la tensione ed il rilascio in maniera efficace e puntuale. Poi vie aeree, con Ahir Bhairav a marcare quote rilassate fra bassi e vibrazion e Sonance a prendere letteralmente il volo, come un palloncino in evoluzione dal quale l’elio sta uscendo sempre più piano, perdendo quota fra cristalli e flash. Quando sotto i bassi riecheggiano le corde di un achitarra, come in Pareidolia ENOIA diventa foriero di splendidi brani strumentali,mentre spalmando il minutaggio rivelano tutto il loro lato oscuro in una vibrance che risuona minacciosa nelle nostre orecchie fra suoni alieni e paludosi.

POL, qui insieme a Ludan Dross, monicker che nasconde Cesare Pizzi degli Young Gods, ad aprire le danze. Sei brani a nome Sunisit, tutti fra i 102 ed i 105 BPM. Musica minimale, colorata e vibrante, reiterata e prolungata da minutaggi superiori ai 05:50 che potrebero tenerci in pista tremebondi per ore intere. Sentori balearic spruzzati con un nebulizzatore per sei tracce subliminali e in qualche modo trascinanti, dove cineserie e piccoli effett speciali d’altri tempi rendono il percorso  avvincente, soprattutto quando si entra in atmosfere avventurose e sci-fi come in Starstruck. Si chiude con Sunset, per un lavoro che ha bisogno soltanto di essere suonato per catturare in maniera elementare e strumentale la nostra attenzione e le nostre membra. Sunisit sanno premere i giusti tasti, ottenendo il massimo risultato con la semplicità e profondità, in una Ginevra che assomiglia sempre più alla Giamaica.

Con DDDD entriamo in una dedica verso un amico, Didier Severin dei KNUT, scomparso lo scorso anno. L’album è infatti quello che i due avrebbero amato ascoltare da adolescenti, nell’oscurità farcendo le sessioni d’ascolto con dei sonori tromboni. La sigla che ovviamente non può che risultarmi amica ma POL la declina in Didz Digital D-Drones. Brani numerati semplicemente dallo 01 allo 05, per una linearità che attendo soltanto la nostra salita a bordo. La prima traccia all’orecchio suona come un vecchio carillon che suona reggae d’annata tre stanze più in là, per poi laaciare spazio ad un impulso più oscuro e spettrale, allungato a dismisura, abbandonato ed alla deriva. Gli interventi sono minimi, lasciando la sensazione che molti di questi grumi di suono siano semplicemente generati, fasce di rumore che ci avvolgono e ci coccolano come coperte di Linus per orecchie avvezze a tutta questa fascia ombrosa. L’ultimo brano parte con un volume talmente basso che riesco a percepirne le prime vibrazioni dopo 01:30. La richiesta di attenzione da parte di suoni come questi risultano essere molto stimolanti, costringendoci a dedicarci completamente a loro. Alla sua crescita ci troviamo a contatto con quella che potrebbe essere la pala di un elicottero e le sue evoluzioni concentriche. Crescono nel finale, giusto per darci quello slancio d’agitazione, prendendosi tutto e lasciandoci con un fragore nella boccia.

Con Karma Consortium siamo sempre alle prese con l’opera di POL, declinata in un’unica traccia che, dopo una partenza atmosferica si trasforma presto in una sorta di sfrigolio con rimbrotti ritmici. Rintocchi limpidi fanno cambiare scenari, in continue e caleidoscopiche mutazioni. L’essere un esplicito omaggio a diversi stili musicali a radici sintetiche rendono l’album come un passaggio di scenari evocati, quasi una library music che viaggia fra diversi spunti sui generis, con una rilevante cura all’interno di un tragitto che sembra un dedalo più che un percorso. Ad un certo punto una voce metallica, femminile, come quella di una sfinge digitale riempie gli spazi mentre intorno a lei i suoni si destrutturano. Poi di nuovo, via, nel catalogo delle gioie digitali: toy music e baillamme assortiti, a tratti sentori di gobliniana memoria. Ma è difficile  dire fino a dove possa portarci questo viaggio, zapping infinito tra il mare nostrum della musica sintetica.

Parte sonora di un’installazione al Museo di Arte e Storia naturale di Ginevra (e relativa esibizione dal vivo) ATMO presta fede al suo significato, quello di capire.È un suono umido ed informe, che di esprime in vere e proprie risacche sopra a gocce di basso, che sposano poi archi melanconici e pungenti. Sonia Perego e Goodbye Ivan seguono l’invito e la proposta di Charlotte Nordin e Raphaël Ortis, presentando una sorta di humus acquatico e vitale, tagliata a fette sottili da lame sonore. Field recordings abilmente utilizzati portano  insetti e volatili a posizionare l’opera, mentre gli strali sonori sembrano creare forze circolari per una musica che ora crepita, ora sibila. Sembra quasi che gli elementi siano i fondamenti grazie ai quali si svolga l’opera. Combustione, evaporazione, precipitazioni, vapori, con le note a mutare, come gli insiemi cellulari e le trasformazioni di ordine fisico. Poi di colpo l’impianto sembra farsi più narrativo e teso, quasi come qualche forma di vita evoluta si fosse introdotta in un ambiente finora scevro da pericoli. Non c’è problema comunque, il finale è lasciato alla più classica delle fughe psichedeliche, in fuga direttamente dal pianeta.

Anita è il nom de plume della luganese di nascita Eleonora Polato. Il suo Nuove Radici parte da quelli che sembrano processi su una voce lontana, fino ad unirli con una realtà composita fra natura e materia digitale. Le tracce sono molto dilatate e sembra si muovano grazie a sbiadite rifrazioni, come movimenti che seguano un diverso scorrere del tempo rispetto agli esseri umani. Tappeti sonori che ci fanno ubriacare, come il suono di una tenue pioggia nel dehor, oppure le vibrazioni che sembrano uscire dal sulo, proprio come lo schiacciapensieri od il frinire delle cicale. Il viagio di Anita è sfaccettato, peculiare come i diversi chicchi della sua mais e le percussioni che ne stagliano la vivida potenza. A tratti si sente un respiro paesaggistico desertico, quasi centramericano, come se le polveri e la terra ci ronzassero intorno, Eleonora riesce a governare gli elementi dando loro una direzione ed una forma, canalizzando le energie di queste nuove radici come una strega pagana in comunione con la natura, per un disco energico e rinvigorente.

Looped dura meno di un minuto, minuscoli loop tagliati fra le produzioni, a staccare, scioccare e schioccare come quelle polveri frizzoline che ci infilavamo in bocca da ragazzini.

Mike Hamerski, da Varsavia e Philippe Simon, da Ginevra negli ultimi due anni hanno creato una strana mistura di musica onirica e paludosa, chiamandola Kilim Mosh. Quello che hanno ottenuto è il suono di una forgia infernale, umida e fertile. Poi i brani si fanno via via più meccanici e schematici, con l’impressione di un osservatore incombente che non tende ad andarsene. Una sorta di recitato dark wave nel sottofondo trasmette a tutto un’ineluttabile sensazione di pericolo e di perdizione, inasprendosi sempre più in una A Stare da brividi. La zona buia si trascina e si ingrandisce, lasciando la sensazione di essere entrati sul set di un film gotico d’inizio secolo, per il quale All Meaning Falls Apart e la sua stentorea vocalità nelle retrovie sarebbe l’ideale compendio. Kilim Mosh si prende i suoi tempi, muovendosi lentamente, catalizzando la nostra attezione con brani enormi, erratici, luminosi ed ipnotici. La finale Transmogrification si fa sempre più fumosa, ma a dispetto del titolo qui la materia non cambia forma, la sostanza nemmeno, rimane salda e dimostra quanto il rimanere sulle proprie posizioni, sfregandole fino a lucidarle, può rendere trascendentale un’esperienza d’ascolto.

Direi che è proprio tutto, per chi volesse provare la pillola HU….