Non è la prima volta che vediamo un “ingaggio” fra Nicola Guazzaloca e Stefano Giust, ma questa volta a rendere il tutto ancora più interessante si aggiunge il flauto di Nils Gerold. Stiamo parlando di due dei migliori improvvisatori con un retroterra jazzistico che siano tutt’ora in attività in Italia (e probabilmente non solo in Italia, ma è un era in cui siamo la provincia della provincia dell’impero in certi ambiti). D’altronde la caratura di Guazzaloca e Giust è comprovata dalle varie tournée estere, da uscite per etichette leggendarie come ad esempio la Leo Records e dalle collaborazioni con musicisti come Thollem McDonas, Hannah Marshall, Gianni Mimmo, Xabier Iriondo, Gianni Gebbia e una miriade di altri. Per quel che riguarda Gerold, a dispetto di una discografia non troppo corposa, vi basti sapere che fra gli altri ha registrato in ensamble che comprendevano anche Evan Parker. Il gergo pugilistico a volte ben si adatta all’improvvisazione e alla sua pratica, non tanto per l’incontro/scontro fra i musicisti ma per un retroscena a cui spesso si dà poco valore e cioè la “relazione” fisica e psichica che si stabilisce fra i due pugili. Forse in questo caso dovremmo parlare di lotta o di un incontro a tre, l’unica cosa per la quale mi scuso è il fatto di dar adito a che si pensi che questo trio si intersechi in modo violento quando in realtà suona in modo vivo, animato ma per nulla violento. Se Guazzaloca con McDonas, di fronte all’irruenza tecnica e fisica dell’americano si trovava a reagire con mani e denti, in questo caso, con un batterista duttile e fine come Giust si muove agilmente come se i due stessero danzando ed il flauto di Gerold in un incontro così equilibrato non può che muoversi agilmente seguendo la corrente. Non mi stuferò mai di ricordare per chi non l’avesse mai sentito che il pianismo del bolognese è animoso, vivo e ricco di scorie prelevate da una passione per la musica a tutto tondo che spesso viene millantata ma che viene posseduta da pochissimi, stesso dicasi di Giust e per entrambi l’amore per il jazz e per l’idea libertaria di cui il jazz è (e NON è) stato portatore fa da tema di fondo e da feedback continuo anche dal punto di vista stilistico ma non potrebbe essere altrimenti anche perchè in un campo del “tutto già detto tutto già sentito” ma “tutto mai troppo scontato” (cosa che spesso fa comodo omettere per doversi rimettere in discussione anche solo nel modo di ascoltare la musica) dell’improvvisazione, forse, la provenienza ed il modo di essere lasciano un segno pesante, come le tracce di DNA sull’arma usata per un crimine. La musica suonata da questa gente è viva.