La lunghezza non è tutto #11

Dalle Girlpool Harmony muove un primo passo in solitaria. Dystopia Girl si compone di un quarto d’ora di musica in cinque brani. Inizia zuccheroso, ma come se a cantare per noi fosse la Scarlett Johansson di Her, in un brano che definiamo macchinoso senza però nessuna connotazione negativa, anzi, svelando la grandezza di una visione esplicitamente tecnologica. è un velo di malinconico amore, moderna e tecnologica visione, che tocca il cuore e turba, fra finzioni e realtà virtuali. Good Thing è future dance fra plastica e nuvole colorate, diretta senza perdere tempo. Shoplifting from Nike fa da ponte fra bubble gum hyperpop in maniera eccitante ed ineccepibile. Produzione sorprendente fra Charlie XCX e Sophie per un progetto che potrebbe essere una cosa grandissima, tra epica, cuore e scie luminose. Succede tutto in pochi minuti, con più tempo davanti a se potrebbe trascinarci ovunque, beats come sassi a rimbalzare sull’acqua, squarci di realtà glacialmente caldi.

“Falco” è un combattente nato e non molla un cazzo. Al grido di”suonare è meglio che lavorare!”. Che non sente perchè è ormai mezzo sordo, e fa fatica a fare qualsiasi cosa nella vita di tutti i giorni. Ma anche se dovesse faticare a percepire le sue stesse parole, Andrew Falkous continuerebbe a sparare tutto quello che ha dentro un microfono. Ha fatto e fa cose interessanti anche da solista come Christian Fitness, e pure il suo side-project Future of the Left e’sempre stato interessante. Ma lui “è” i Mclusky. E dopo 19 anni tornano con 4 nuovi pezzi, tre mine e una robetta un po’ moscetta ma sempre meglio di niente. Nuovo album in arrivo l’anno prossimo, Cardiff alla (ri)conquista del mondo. Dal vivo li ho visti proprio nella prima tappa della loro reunion,a Bristol, molti mesi fa, poco fiato tanta voglia di parlare e di scherzare col pubblico. Ora stanno sicuramente meglio sul palco,tolta la ruggine. Testi sempre ironici, dissacranti. Del resto i nostri amici sono sempre tutti degli stronzi e le nostre mamme non possono che essere ancora delle ladre di punte delle penne a sfera, come urlava Falco oltre 20 anni fa.

Non so praticamente nulla dei Cime: credo siano del sud della California, mischiano tradizioni latine, folk, musica gospel ed animo punk. Laurels of the End of History è un ep di 6 brani per 18 minuti che avanza con brani che non possiamo umanamente non amare. Certo, per cantare La Granadera in maniera sensata servirebbero ettolitri di cerveza y tequila ma possiamo comunque impegnarci a fare del nostro peggio, Sale il sospetto che Cime non sia una band, bensì una sorta di comunità aperta, dove la musica sia solo una parte della cosa, quel che è certo è che questo incrocio fra James Brown, Ian Svenonius, Richie Valens e la disperazione possa portare solo i risultati migliori, fra le 28 e le 37 copie vendute e la riscoperta di qualche freak fra 20 anni. Non siate fessi, prendete fra le braccia il vostro amore e ballate con lei una torrida Spectres of Che come se fosse l’ultima cosa da fare prima di buttare la vostra camicia sgargiante. Non sarete più gli stessi dopo averlo fatto, ne dopo aver ascoltato il brano di chiusura di questo ep, una orgiastica sinfonia di quasi 8 minuti fra stacchi free jazz, folli declamazioni, un paio di marching band e qualche festa popolare. Non credo di essere in grado di definirla nella maniera corretta, pero de seguro en espanol tienen una palabra como musicalocadelafronteraquelapariaron che ci calzerebbe a pennello.

Mussolini è il brano che anticipa il prossimo album dei Bachi da Pietra. Suoni da un inferno vaporoso, ritmiche come da cuore spezzato, Giovanni Bruno e Marcello ci accompagnano in un vero e proprio incubo dell’immagine, di una società rincoglionita nell’apparire che si ubriaca di fronte al nulla. Un brano che scuote e che falsità e rivalsa ci ricopre di una cappa nera quanto la nostra ottusità. Un brano che non si vorrebbe mai finire di ascoltare, maglrado la batteria segni forse i secondi finali di comportamenti e pensieri che non sapremmo mai comprendere fino in fondo. Dopo D.A.F. e Big Black un’altra grande band a cimentarsi con Benito, attendiamo Accetta & Continua con parecchia curiosità a questo punto…

I piemontesi La Colpa, dei quali già abbiamo avuto modo di parlarvi, hanno deciso di scandire il tempo che manca alla pubblicazione del nuovo album, previsto per inizio 2024, con una serie di singoli digitali. La prima produzione è una cover dei Coil, The Last Amethyst Deceiver (da The Ape Of Naples), che trasforma il gospel dark-pop ideato dal duo Balance-Christopherson nel suo doppio, riflesso in uno specchio nero. Il ritmo e la vibrazione di fondo dell’originale rimangono, ma sono come invischiate in una melma nera, sulla quale aleggia una voce proveniente da un’altra dimensione. Solo sul finale sembra ritornare il tono salmodiante dell’originale, ma ciò non vale a salvare l’ascoltatore da un brano che porta l’esplorazione dell’oscurità propria del quintetto ad una nuova profondità. (E.Z.)

Solosedici è il primo parto discografico di Mògano, alias scelta dalla rivolese Nora che ci cala direttamente in un mondo fiabesco ed acido dove echi di Angelo Branduardi si sposano con delicatezze di pop cameristico. Presto, prestissimo per poter dire cosa ci aspetterà nei prossimi mesi od anni dalla sua pelle, ma in questo mese ho ascoltato questo piccolo gioiellino diverse volte, spesso con mia figlia, tanto che è lei a chiedermi della canzone L’Illusionista. DI solito la piccola non sbaglia a riconoscere i talenti, quindi…voi appuntatevi questo nome, capace di puntunti rintocchi, fughe pianistiche e saliscendi ritmici che ci fanno rincorrere senza nessuna chance di raggiungerli piccoli personaggi che abitano mondi tutti loro. Noi colpiti, alla tempia dai fiori scagliatici.

Karla, Colm, Jack e Sam sono gli Sprints. Esordiranno a gennaio per City Slang, per ora ci buttano addosso questa Up and Comer che ci prende a schiaffi per il suo scavallare ondate di suono ora rabbioso ora irretente. La voce di Karla non fa prigionieri, è sporca il giusto e manda avanti un calcio alla volta il rock’n’roll fatto come dio comanda, brutto, sporco e sudato. Ci vediamo nel 2024 teppa.

Ero dubbioso se includere Odradek Parte I dei Marnero (con Matteo Bennici) in questa rubrica o se dargli lo spazio di un album a recensione singola. Il fatto che nel prossimo anno si aspetterà la seconda parte di questo disco, che andrà a chiuderlo, mi ha fatto propendere per questa opzione. Durante la fuga inizia fra ronzii, percussioni che sembrano ferme ed urla ferine. Gli scatti fra la voce urlata e quella pulita danno profondità a quella che è ormai, senza ombra di dubbio, una cifra stilistica unica. Violenza, ansia, poesia, profondità, rottura. Se il termine folk hardcore potesse avere un senso lo utilizzerei per i Marnero, che sembrano suonare e cantare come se dietro di loro ci fossero le schiere dell’oltretomba a fargli i cori, brani come chiodi a fissarci al nostro presente perché non ci si stacchi dalla nostra storia. Tutto quello che nasce muore. Di norma se quando un disco finisce lascia solo macerie e silenzio dietro di sé è un buon segno. Toccherà aspettare la seconda parte mannaggia al mondo!

Flamingo Records, ormai lo sappiamo, è una sicurezza. Quando ho iniziato a vedere la foto della loro ultima uscita, Cupio Dissolvi dei Fever, da Imperia, la salivazione ha iniziato a concretizzarsi come davanti ad un trancio di focaccia di Recco. Giusto quindi lanciarli subito in orbita, perchè perdere tempo del resto? Furia brada, tra rock’n’roll, post-punk, voce che è un rauco ruggito nelle retrovie, l’impeto di chi si è accorto di aver scelto il bivio sbagliato km prima e sceglie di mettersi nelle vesti di chi terrorizzerà i prossimi malcapitati. Del resto lo fanno benissimo, con 7 brani che ci assaltano alla giugulare, torbidi, grigi e salmastri, a tre anni dalla nascita ci lanciamo addosso questa bellezza contundente ed ubriacante. Nell’ultimo, Home, appare una nuova voce, giovane e fresca, quasi che il bruto stia aggiungendo polpa alla sua famiglia, crescendo in cattività le nuove leve!

Non abbiamo mai trattato materiale ristampato da Improved Sequence semplicemente perchè sfornani dischi in velocità molto maggiore di quanto riusciremmo a scriverne ma a questo, vista la chicca, non potevamo dire di no! 7″ con protagonisti Steno e gli Avvoltoi, la storia della musica italiana in un certo senso, guardando le carriere di questi loschi figuri. Un uomo rispettabile, dai Kinks di A Well Respected Man attraverso la ripresa dei The Pops del 1965 mette i brividi oggi come allora, seguendo le gesta di un immenso Bertolotti Andrea. Poi è tempo del superclassico dei Nabat Scenderemo nelle strade, tutta scie colorate e bolle a schiantarsi sull’asfalto. Che gli vuoi dire? Semplicemente perfetto, una carezza in un pugno.

Chiudiamo con il ritorno dei torinesi Hopeless Party. Nunavut (il territorio canadese più settentrionale e vasto) è il loro ultimo brano, che segue I Sotterranei, di qualche mese fa. Musica che smuove le viscere nella sua necessità, colpendoci al cuore in attesa di un loro lavoro più lungo in lingua italiana. Le urla della vocalist sembrano essere fuori controllo una volta rottesi e la dinamica del suono riprende temi chicagoani duri a morire che ormai fanno parte del nostro DNA, drammatizzati dalla resa quasi psicotica di un brano che in 5:35 mette in scena quella che sembra essere una vera e propria scena del crimine.