Fabrizio Ottaviucci – Ragapiano (Odd Times, 2009)

Da pseudo-relativista (che grazie a Dio non sono) e da seguace della ricostruzione storica individuale, o forse solo da “rosicone” relegato ai piani bassi (in tutti i sensi), a volte mi fa specie vede come i favori del pubblico talvolta vengano guidati (dai su, non sarete mica convinti che il processo avvenga in modo autonomo!?…”ma mi faccia il piacere!”) verso alcuni autori che non amo molto; se per Ludovico Einaudi tutto sommato nutro un certo rispetto pur non amandone i dischi, Allevi mi fa venire in mente Bruno Martelli di Saranno Famosi… un personaggio decisamente mediocre soprattutto se confrontato con Denny Amatullo e il compianto Leroy Johnson. Mi scuso per l’introduzione farlocca che Ragapiano non merita per nulla, infatti pur essendo io abbastanza refrattario a molti lavori per solo piano non ho potuto fare a meno di notare che il disco di Fabrizio Ottaviucci coniuga una serie di influenze molto fini in modo brillante. Fra i tasti bianchi e neri ho trovato ombre delle dita di Michael Nyman, del Koln Concert di Keith Jarreth, qualche reminiscenza di Satie e un gusto per le colonne sonore (tanto che di Nyman parlerei in veste di compositore in questo ambito specifico). Un bellissimo suono, una forte ispirazione ad un pianismo sobrio che per fortuna non è stato rovinato da una produzione in cui i riverberi o l’eccessiva asciuttezza avrebbero potuto alterare il suono del Grand Piano di Ottaviucci. Undici tracce ariose, molto malinconiche ed apparentemente semplici in cui il musicista dimostra che, pur rimanendo in un ambito trito e ritrito da molti, quello che fa la differenza è il cuore. Non mi stupirei se venisse usato o fosse già stato utilizzato da qualche regista.