Quartetto jazz, Eloi Calame al clarinetto, Pierre Balda al contrabbasso, Noé Franklé alla batteria e Nicolas Masson al sassofono. Iniziano come furie, groove ed un irruenza che ha più della cavalcata out rock, quel rombo che ti entra nelle orecchie e che viene gonfiato da fiati e batteria e che ti presenta le carte in tavola. Tre demoni, Nàgger, Nedom e T, lottano per il controllo del mondo, scatenando emozioni incontrollate che si palesano durante il confronto. Più che un confronto serrato però sembra una dinamica storta, con suoni che si palesano ed intersecano con densità e sostanza, fra scampoli be-bop e note gonfie e sode. Quando il ritmo si allenta c’è comunque una tensione, un pieno che viene sostenuto da ance e corde e che riesce a trascinare la nostra attenzione verso le casse armoniche, gli orifizi e le pelli degli strumenti. Non può esserci vincitore ovviamente, ma soltanto crescita reciproca, allenamento e rinforzo in una tecnica che non appare mai fine a se stessa ma utile a coinvolgere ed e legare l’insieme del quartetto. L’impermanence des mondes è un disco impervio ma mai complesso, audace ma non stravagante, deciso ed in grado di sorprenderci. Sappiamo poco o nulla di questi musicisti, ma di sicuro sappiamo che è proprio questa l’occasione per appuntarci questi nomi in vista di altre collaborazioni od uscite in solo. Da sarti sopraffini ci fanno vedere la loro stoffa, senza darci la possibilità di vestirla né di farla nostra: si osserva, si ascolta, si entra nella materia, per poi ripassare con altre nozioni più approfondite all’interno di un percorso mirabile, dove nessuna nota sembra essere di troppo ne buttata alla rinfusa. Un lavoro certosino, da parte di quattro musicisti che si sono perfettamente trovati in una folgorante battaglia. Chiude Féstin à trois ma non vorremmo sapere chi sia l’escluso, che rischia di ripartire il finimondo…