A Windy Season – Tidal (Amirani, 2012)

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Se credessi nel senso e nell’utilità di fare una playlist di fine anno Tidal sarebbe senza dubbio nella top ten delle cose migliori che ho ascoltato. Per quel che mi riguarda si tratta di un lavoro splendido sotto diversi punti di vista, infatti oltre ad amalgamare in modo molto equilibrato alcune individualità decisamente forti, si muove attraverso le diverse influenze (esperienze) musicali del quartetto coniugandole in modo affascinante. A Windy Season sono Angelo Contini (trombone, didjeridoo, etc), Alessio Pisani (fagotto, controfagotto), Gianni Mimmo (sax soprano) e Mirio Cosottini (tromba, etc). Un quartetto di fiati, che qualcuno di voi ricorderà il Rova Quartet, ma a dire il vero al di là degli strumenti la musica non ha nessun tipo di affinità. Non so che tecniche di improvvisazione sia stato usato in Tidal, ma al di là che si tratti di ricercatori/docenti/studiosi in materia (da non sottovalutare i laboratori organizzati dal GRIM in materia) è piuttosto evidente come il quartetto si muova in modo più che organizzato. Il suono si sposta in modo splendido fra la musica classica e contemporanea, il jazz colto e le colonne sonore (mi rendo conto che questo non voglia dire nulla, ma cercate di mettervi nei miei panni…). Trovo che si tratti di un disco di una grande finezza, avevo già avuto questo sentore vedendo la loro performance in quello stesso spazio di Camogli dove questo disco è stato registrato, ma trovo che l’esecuzione congelata su questo CD sia ancora più ispirata. La miscela è davvero affascinante: l’esuberanza del carattere di Gianni Mimmo è splendidamente imbrigliata e sfruttata al meglio in una formazione in cui le note basse di Pisani sembrano reggere tutto l’edificio, Contini e Cosottini possono sembrare gregari solo ad un orecchio distratto, infatti fra raddoppi, fughe ed intersezioni i caratteri/suoni più riservati dei due segnano il disco in modo pesante. I giochi di ripetizioni ed i passaggi in cui i musicisti volteggianno insieme sono proprio le parti che mi hanno colpito di più in questo lavoro. Si tratta di un disco che alterna astrazioni a momenti più nervosi, ma comunque con una forte attenzione data alle pause ed allo spazio fisico del suono (non credo che sia un particolare secondario il fatto che ci siano loro stessi dietro ai cursori del mixer). Ne risulta un lavoro che anche nelle fasi più “grige” suona umano e caldo. L’ho ascoltato più volte mentre guidavo e pensavo quanto fosse adatto all’inverno, e alla vista di tutti questi palazzi che sembrano monumenti a cielo aperto alla sterilità; in un’intervista Mirò dichiarò che sarebbe stato più affascinante se le case fossero assomigliate ad una conchiglia come quella che stava agitando fra le mani mentre parlava: se anche fossi stato circondato da edifici del genere questo disco non avrebbe perso una virgola del suo fascino.