Elena M. Rosa Lavita e Marco Valenti, una citazione di Lord Byron, un nastro, due lati per due parti di un insieme.
Il dualismo crea una tensione, un attrito, un interesse. Elena si occupa di basso e di una melodica, Marco di samples ed elettronica.
Ogni viaggio sonoro, prerogativa di ogni registrazione, è un percorso. Con un’inizio ed una fine, dei quali non conosciamo però apici, difficoltà, stratificazioni ed ottiche.
Non conoscendo il testo del Barone da cui il titolo viene estrapolato ( Childe Harold’s Pilgrimage) mi limito a farmi suggestionare dalla citata argilla, immaginando l’energia scaturita nell’incrocio fra i due corpi, le due menti e le innumerevoli vibrazioni messe in atto nella sessione allo Stasi Studio nel gennaio di quest’anno. E, per essere onesti, scopro quanto questo passaggio mi sia vicino sia come produttore che come ascoltatore e scrittore di musica. Anche qui, come in diversi miei spunti passati torna il Nigredo e la Grande Opera. Già, la musica forse nulla è che la ricerca della pietra filosofale, rappresentata dalla pura essenza dei suoni che scaturiscono dagli attori in causa. L’annerimento di Rosa e Marco è lo scoperchiamento del pozzo, la viscera del suono che viene aperta e scarnificata. Ma poi, come qualsiasi essere ci abituiamo al buio dei suoni, ci uniamo al ritmo ed all’ambiente tramite la nostra parte più ad essi legata, di fatto distillandoci (l’Albedo) ed entrando nel suono. A questo punto (ed il nastro gira come un vento continuo che pulisce le ori e le impreziosisce legandoci soltanto ad esso) ci distacchiamo, prendiamo aria, cerchiamo un’idea ed una chiave di lettura, sintomo di maturità e di attenzione (Citrinas).
Che rimane? Fra i rimbombi, le frequenze, le vibrazioni, gli scambi? Rimane il corpo e l’effetto che il suono ha su di esso, il Rubedo, l’incontro ed il completamento dell’opera e dell’essere, che ascoltando l’opera ne rimarrà invariabilmente cambiato.
Non conosco Elena mentre conosco abbastanza bene Marco, con cui sento una vicinanza di intenti e di ideali. Penso però di potermi permettere un consiglio: dall’intensità del suono espresso credo che non sia stata una sessione leggera né probabilmente semplice da ipotizzare come regolare…beh, diventasse un’abitudine, una terapia di scontro annuale, potremmo goderne moltissimo e forse anche voi.