Geographic

L'etichetta inglese Domino, www.dominorecordco.com, è stato in questi anni un nome di riferimento per molti, alternando ottime produzioni UK a distribuzione in europa di eccezionali dischi USA: c'è una buona dose di cose Domino che adoro: Smog, Hood, Third Eye Foundation, Flying Saucer Attack e l'elenco è ancora molto lungo...
Da poco è nata la Geographic, sottoetichetta gestita nientemeno che dai Pastels! Spazio quindi ai loro gusti, davvero ottimi direi, date le prime uscite: orientate in genere sul pop delicato e intelligente, sempre dotato di interessanti striature.

Empress - S/T (Geographic/Goodfellas, 2000)
Dopo due sette pollici ed un CD che ho consumato a fondo, gli Empress arrivano alla seconda prova sulla lunga distanza che mi ha trovato un pò prevenuto: infatti il loro pop malinconico al rallentatore sembrava in teoria avere già detto tutto. Invece la verità è che anche se il registro è sempre lo stesso, non ci si stanca mai di ascoltare musica così sentita e personale, intima al limite.
Si comincia con un titolo eloquente, If No Hope, cinque minuti lenti lenti dove la tenera voce di Nicola conduce verso un etereo stato di narcolessia; Quiet Nights, il secondo brano, è un intermezzo ambientale come solo loro e i cugini Hood ci sanno regalare, una manciata secondi dominati da un drone di tastiera minimale che potrebbe durare per ore facendo la fortuna di molte band isolazioniste: non è questo il caso ed i pezzi si susseguono uno dopo l'altro romantici e avvolgenti, da Your Door Is Closed a Kobe, veramente notevole. La finale Billie's Blue, poi, è talmente delicata e toccante, da palpitazioni: una frase di piano su un battito leggero e stanco in sottofondo, con la voce che sale lenta appena poco sopra agli strumenti per lasciare spazio alla gocciolante melodia del basso che sfuma poco dopo.
La storia di Nicola (Hodckingson, USA) e Stewart (Anderson, UK, la mente della 555 Recordings di Leeds nonchè della one man band Steward) è particolare: si sono conosciuti per lettera e hanno fatto il primo disco indie lo-fi a nome Boyracer scambiandosi i nastri per corrispondenza; inoltre i due si sono impegnati negli Empress, secondo me decisamente superiori; peccato che questo sia il loro ultimo disco, un vero dispiacere per chi come me li ha ascoltati con trasporto in questi anni: non resta che fare tesoro delle loro meravigliose canzoni.

International Airport - Nothing We Can Control (Geographic/Goodfellas, 2000)
Future Pilot Aka - Tiny Waves, Mighty Sea (Geographic/Goodfellas, 2000)
Mather Shalal Hash Baz - From A Summer To Another Summer (An Egypt To Another Egypt) (Geographic/Goodfellas, 2000)
Cominciamo subito con gli International Airport: disco col botto, è proprio il caso di dirlo, per una band che alla fine ruota attorno alla figura di Tom Crosley, già nei Pastels. Quando il pop scozzese si fonde con la scena post rock di Chicago nascono piccoli capolavori come Nothing We Can Control, fatti di sussurri, organetti (Moving Water), ritmi astratti (Mountain Music, A Vale Of Twisted Sendal), vinili che saltano (De Menging Van Bruin En Groen) e flauti magici per colonne sonore immaginarie (Primo Or Dutch che mi ha letteralmente steso...).
Tra sonorità analogiche, echi dub (Does Chocolate Live Here?), moviole cantautorali alla Radar Bros (Remnant Kings), xilofoni e chitarre acustiche si conclude quest'opera prima rarefatta, quasi immobile e timida fin dal cantato (quando c'è), ma bisognosa di tanta attenzione e ascolto. Manco a dirlo il mixaggio è stato affidato a quel geniaccio tuttofare che è John McEntire (Tortoise).
Vapori sonori per stanze dai vetri appannati. Disco bellissimo.
Passiamo al pilota di origini indiane Sushi K. Dade; assistito da gente del calibro di Belle & Sebastian (Om Namah Shivaya), Gentle Waves (Ananda Is The Ocean) e costantemente fiancheggiato dal jazzista Bill Wells, anche lui, come le due band che ho citato, ha un sogno nel cassetto, ovvero quello di comporre melodie pop perfette, meglio se influenzate dalla spiritualità della musica indiana (Darshan). Da qui il dilemma: canzoni semplici semplici (Beat Of A Drum) oppure forme più ricercate e libere (Opel Waters)?
Disco interessante ma un pò indeciso.
Applausi finali anche alla musica di M.S.H.B. che, più che indecisa, mi sembra impossibile da etichettare. Il leader giapponese Tori Kudo, trapiantato in Inghilterra, senza dubbio è un pazzo e permea di uno stile interessantissimo questi settantacinque minuti di musica suddivisi in ben ventisette brani. L'inizio di tromba, trombone e chitarrina poi è strepitoso (Unknown Happiness, Street Corner College), ma devo avvertirvi che Tori canta in giapponese le (per fortuna) poche track non strumentali e, se vi piacciono i Melt Banana, a ottant'anni suoneranno così come fa ora Tori: in modo più malinconico, pacato e un pò meno improvvisato ma con lo stesso fascino della stonatura sempre dietro l'angolo. Un super pezzo a scelta? Direi Noon Recess After American Pops (che titolo!); ma anche Flowerages ossia un incapace che canta su di un tappeto chitarristico mozzafiato. Impagabili sono anche le marcette starnazzanti da sagra sgangherata di paese che appena le senti ti metteresti tre mani sulle palle scambiandole per cortei funebri (Great Gothic Country Song per fare un nome).
Devo ammettere che questo disco bizzarro, bislacco e affascinante mi ha fatto completamente cambiare prospettive dopo due ascolti e come per magia una ormai inevitabile stroncatura si è trasformata in un bel cinque stelle: miracoli della bassa fedeltà...

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