Momus - Folktronic (Cherry Red, 2001)
Matmos - A Chance To Cut Is A Chance To Cure (Matador, 2001)
Kid 606 - GQ On The EQ (Tigerbeat 6, 2001)
Nicholas Currie, meglio conosciuto come Momus, ci presenta con Folktronic (già il nome è tutto un programma) l’ultima delle sue mille identità pop. Questa volta è il “robocowboy” che suona bluegrass con dei vecchi Texas Instruments e qualsiasi altro tipo di residuato informatico capitatogli sotto mano. Non male ma personalmente preferisco il Momus di The Poison Boyfriend.
Volete qualcosa di forte? Prendete l’ultimo Matmos: sinfonie di teschi umani, tessuti connettivi, denti artificiali, gabbie per topi cavia, lifting facciali, chirurgia plastica, ecc. Drew Daniel e Martin Schmidt sono entrati con i microfoni in sala operatoria e hanno dato vita a un disco di elettronica pop (leggi: electro house). Ci vuole una buona dose di humour nero per avvicinarsi a un’opera di questo tipo. Non è la prima volta che qualcuno fa una cosa del genere. Ma a differenza dei gruppi industrial i Matmos l’hanno fatto con l’intento d’intrattenere l’ascoltatore, non di sconvolgerlo.
Se volete chiamatelo pure il funk delle ossa scartavetrate.
Lo confesso, ho comprato il disco di Kid 606 dopo aver visto la copertina su Blow Up. Cosa ho trovato nel CD? Stordimento, bleeps e altre scorie elettroniche allo stato brado. Per un momento ho anche pensato che il mio lettore si fosse sputtanato completamente. A volte sembra il concerto di una mosca sul vetro. Non male, ma se i nuovi terroristi del suono sono questi ridatemi i Suicide.

Boredoms - Vision Creation Newsun (Birdman, 2001)
Black Sun Ensemble - Black Sun Ensemble (Camera Obscura, 2001)
Dunlavy - The Alison Effect (Camera Obscura, 2001)
Bardo Pond - Dilate (Matador/Wide, 2001)
Mogwai - Rock Action (Southpaw, 2001)
Sonna - We Sing Loud Sing Soft Tonight (Temporary Residence, 2001)
Lumen - The Man Felt An Iron Hand Grasp Him... (Temporary Residence, 2001)
Ha detto bene Stefano Isidoro Bianchi: “i Boredoms sono più grandi della vita”. Quanti sono i gruppi di oggi che possono permettersi di guardarli in faccia? A me non ne viene in mente uno. Il loro ultimo album Vision Creation Newsun è un mantra allucinante da cui non si esce vivi, una festa tribale tra percussioni kraut ed espedienti sonori di ogni tipo. Sicuramente una delle cose migliori che ho ascoltato quest’anno.
Finalmente qualcuno si è deciso a ristampare il primo album dei Black Sun Ensemble uscito nel 1985 e diventato oggetto di culto tra gli appassionati di psichedelia. Ci ha pensato la Camera Obscura, riportando alla luce il capolavoro di Jesus Acedo, una sorta di John Fahey della psichedelia moderna. Gli strumentali racchiusi in quest’album sono davvero ammalianti, in perfetto bilico fra arpeggi barocchi e raga ipnotici.
Sempre per la stessa etichetta ma con molta classe in meno è l’album dei Dunlavy. Il primo pezzo è una ballata/pallata hippie lunga diciotto minuti dove non accade nulla falliti in pieno il tentativo di trovare un incrocio tra il kraut e la west-coast. Fanno decisamente meglio quando decidono di comporre e cantare.
Di ben altro livello qualitativo è invece l’ultimo Bardo Pond che con Dilate hanno raggiunto una maturità davvero inaspettata. Dimenticatevi il post-rock e pensate piuttosto a un incrocio mistico tra My Bloody Valentine e Hawkwind e al titolo del disco che già di per sé spiega più di mille altre parole. Questa è pura psichedelia moderna della miglior risma.
Mi ha lasciato un po’ indifferente invece l’ultimo Mogwai. Forse una volta tanto ha ragione Scaruffi quando dice che sono uno dei gruppi più sopravvalutati degli ultimi tempi. Sinfonici come non mai (e forse pure un po’ prog) proseguono sulla scia dell’EP precedente. È il suono d’insieme a non piacermi molto, a farmi preferire il loro album precedente (l’EP soprattutto). Inoltre quando non cantano è meglio, molto meglio.
La Temporary Residence è una delle indie americane più attive del momento. Il fondatore dell’etichetta, Jeremy deVine è anche il chitarrista dei Sonna. We Sing Loud Sing Soft Tonight è il loro esordio, prodotto da Steve Albini. Trattasi di musica quasi interamente strumentale: chitarre soffici, basso jazzy, qualche sporcatura di pianoforte e quel tipico suono secco della batteria che puoi ascoltare soltanto nei dischi prodotti da Albini. È post-rock, anzi no, é neo-prog... Chiamatelo come volete o non chiamatelo per niente. Il disco non è affatto male, il problema è: quanta gente nel mondo sta suonando roba di questo tipo?
Stessa scuderia e stesse coordinate anche per i Lumen, ovvero membri di A Minor Forest e Tarentel alle prese con otto strumentali poliritmici per chitarra acustica, basso e batteria. Una gran complessità d’arrangiamento, per nulla ridondante, che rimanda un po’ ai King Crimson e a John Fahey. Niente male, davvero. Di gran lunga migliore dell’ultimo mattone targato GYBE!.

Old Time Relijun - Witchcraft Rebellion (K, 2001)
The New Year - Newness Ends (Touch And Go, 2001)
Low - Things We Lost In The Fire (Tugboat, 2001)
Rollerball - Trail Of The Butter Yeti (Road Cone, 2001)
Unwound - Leaves Turn inside You (Matador, 2001)
Non dimenticherò mai il rutto micidiale che Arrington De Dionyso ha tirato appena usciti da una pizzeria lo scorso anno a Genova, poco prima del concerto degli Old Time Relijun. Un tuono devastante. Come non dimenticherò mai la felpa con cappuccio e corna diaboliche incorporate con la quale si è presentato sul palco. Una voce devastante. Questo disco non è poi tanto diverso da quello precedente, almeno nell’approccio a quella materia informe creata dalla mistura di Beefheart, Ayler e Half Japanese che i Nostri hanno saputo trattare con il rispetto dei discepoli.
A chi gli chiede delucidazioni sull’origine del suo cognome De Dionyso risponde: “La mia origine si trova nella città dei misteri”.
Ah, dimenticavo, gli Old Time Relijun fanno un casino della madonna.
Un grandissimo disco è quello dei New Year, il gruppo formatosi dalle ceneri dei Bedhead, uno dei gruppi più sottovalutati degli anni ’90. I fratelli Matt e Bubba Kadane sono approdati alla Touch & Go. Al loro seguito ci sono anche Chris Broakaw (chitarrista dei Come, ex batterista dei Codeine) e Mike Donofrio dei Saturnine. La formula stavolta non è più quella post di album come Transaction de Novo, l’epitaffio dei Bedhead che aveva lasciato con l’amaro in bocca parecchi estimatori. Questo è un disco di canzoni, o meglio ballate, nella tradizione dei migliori Velvet del terzo album. Splendidi ricami chitarristici per un grande ritorno. Raccomandato.
I Low sono più accessibili che in passato, non è una novità. Dopo lo splendido EP natalizio dello scorso anno c’era da aspettarselo, no? Questo é il disco più prodotto e meno ostico che abbiano mai fatto ma non per questo la loro musica ha smesso di emanare quel fascino narcolettico che è diventato il marchio del trio. Commerciali o meno per me resteranno sempre la versione mormona dei Joy Division.
Non chiedetemi mai più di descrivere la musica dei Rollerball. È quando ascolto dischi di questo tipo che mi passa la voglia di scrivere di musica ed incomincio a convincermi del fatto che dischi si spieghino da loro come tutti gli organismi viventi, i fiori e gli animali. Quello che posso dirvi é che ci troviamo in un enorme calderone sonoro contenente trombe, clarinetti, tastiere, fisarmoniche, campionamenti, basso, batteria. Non ci sono le chitarre ma non ce ne s’accorge quasi. In compenso c’è parecchia con-fusion: funk, canterbury, jazz, hip hop e drum'n'bass contemporaneamente. Credo comunque che la cosa migliore sulla musica dei Rollerball l’abbia scritta il maestro Eddy Cilìa: “Nenie sciamane risuonanti nei boschi intorno a fabbriche in rovina”. Eccezionale.
Grandissimi anche gli Unwound che con il doppio Leaves Turn Inside You hanno completato quel giro di boa intrapreso con Challenge For A Civilized Society raggiungendo la definitiva maturità. "Non è un disco facile" – aveva detto il mio negoziante prima che lo comprassi a scatola chiusa - "E chi se ne frega", pensai tra me. Ho ventisette anni e mi sono rotto i coglioni dei dischi facili. Non è noise, non è punk, è uno di quei dischi sui quali andrebbe attaccato l’adesivo “No Label”. La capacità di saper sfuggire alle etichette e la personalizzazione del suono sono talenti dei quali davvero pochissima gente è in possesso. Gli Unwound sono tra quelli. C’è chi dice che questo doppio sia il nuovo Daydream Nation o il nuovo Double Nickels On The Dime. L’unica cosa certa è che si tratta di un monolito, se poi avrà raggiunto la grandezza di quelli sopracitati lo scopriremo tra qualche anno. Nel frattempo gli Unwound hanno preso quella strada che l’indie rock americano da un bel po’ di tempo a questa parte non é più stata capace di prendere. È quella del coraggio e porta dritta al futuro.

Nick Cave & The Bad Seeds - No More Shall We Part (Virgin, 2001)
Mark Eitzel - The Invisible Man (Matador/Wide, 2001)
Bonnie Prince Billy - Ease Down The Road (Domino, 2001)
C’è gente che accusa Nick Cave di fare un disco uguale all’altro. E’ vero, ci sono di nuovo i Bad Seeds, ma avete mai pensato ai risultati che Neil Young ha ottenuto senza i Crazy Horse? Stavolta però c’è una novità di rilievo: la voce, una tonalità più alta e meno baritonale rispetto al passato. I detrattori diranno che è il solito disco di Nick Cave con la voce differente. Il problema è che a me questo signore piace ancora parecchio e vi confesserò che vedere passare il suo video su MTV dopo quello dei Luna Pop mi fa un certo piacere.
Mark Eitzel è uno dei più grandi cantautori degli ultimi vent’anni ma sono troppo pochi quelli che lo sanno. Ci ha messo due anni per fare questo disco, il quarto della sua discografia solista. L’ha registrato da solo a casa sua con l’ausilio della tecnologia informatica casalinga. Fa un certo effetto ascoltare dei loop in un disco di Mark Eitzel, comunque la qualità delle canzoni non manca neanche stavolta, potete crederci.
Stesso discorso per Bonnie ‘Prince’ Billy a.k.a. Will Oldham, da quasi dieci anni ormai impegnato nella messa a nudo metaforica delle sue relazioni interpersonali. Ease Down The Road non è un disco di alternative-country, post-country o insurgent-country. È country e basta ed è uno dei suoi migliori lavori.
Sempre di Bonnie Billy (senza ‘Prince’ però) vi segnalo l’uscita di un EP su Temporary Residence. Il titolo è More Revery e contiene sei pezzi. Nulla di rilevante da sottolineare se non forse una più marcata propensione verso il rock.

Pepe Deluxe - Super Sound (Emperor Norton, 2001)
Khan - No Compriendo (Matador/Wide, 2001)
Church Builder - Patty Darling (Shelflife, 2001)
Shermans - Casual (Shelflife, 2001)
Laura Watling - Early Morning Walk (Shelflife, 2001)
Moving Pictures - Joie De Vivre (Shelflife, 2001)
Oh-la… Finalmente un po’ di stroncature. Incomincio subito con Pepe Deluxe, sì proprio quelli della pubblicità con i ragazzi con la testa che s’attorciglia.
Se la dance è fatta con gusto e talento (Daft Punk e Avalanches) può anche essere intrattenimento di buona fattura ma qui purtroppo, non essendoci né l'una né l’altra cosa, siamo nel campo della pura inflazione. Braccia rubate all’agricoltura, altro che Super Sound!
Sempre sul filone spot pubblicitari s’inserisce anche Khan, alias Can Oral, che con un nutrito staff di collaboratori illustri (Jon Spencer, Diamanda Galas, Atari Teenage Riot tra gli altri) dà vita a quello che dicono essere il suo capolavoro. Il problema è che tolti un paio di pezzi il resto dell’album mi lascia completamente indifferente. A volte non bastano i grandi nomi per fare una grande squadra (Inter docet). Prince faceva già di meglio quindici anni fa. Rimandato a settembre.
Campo diverso ma stessi risultati per la Shelflife Records, una indie di New York appassionata di sunshine pop anni ’60. Church Builder, Shermans, Laura Watling e Moving Pictures sono praticamente tutti la stessa cosa, lo stesso suono, la stessa grafica delle copertine. Copie delle copie dei Cardigans, insomma. Questa roba va bene per i pigiama party o, peggio, per i salotti dei privé. Possibile che 'sta gente non abbia imparato nulla dalla lezione di Velocity Girl, Unrest e Softies? Ora incomincio anche a capire come mai New York non tira fuori nulla d’interessante da almeno vent’anni.

Mai lette tante baggianate come queste, specie quelle sui Low e i Mogwai.
Gilles

Sono completamente d'accordo con Gilles a proposito di low e mogwai...sottovalutare
due dischi simili mi pare delittuoso!...e a me le canzoni dei mogwai paiono ispiratissime
e toccanti!
Stefano

Il mio parere è che Filippo Gualtieri non acpisce davvero un cazzo di pop, e farebbe
meglio a non parlarne. La Shelflife è una delle etichette più attive e benemerite del genere.
Capisco che a lui piacciano altre musiche, ma chi glielo fa fare di recensire pure
queste e rischio di simili brutte figure?
Rudie

Secondo me chi accusa lavori come quello di CHURCHBUILDER di carenza d’effetto
novità commette un errore di prospettiva. Gli amanti di questi suoni sanno bene da
sempre che ciò che può costantemente alimentare la sorgente d’interesse sta nella
capacità di ognuno di questi nuovi “gruppetti” di realizzare semplicemente altre canzoncine
irresistibili capaci di ammaliare, di trasportare in un luogo altro, spensierato, premuroso,
dispensare leggerezza e far dimenticare il mondo che lo circonda e che ne è carente.
Churchbuilder sanno farlo, sanno costruire in mezz’ora scarsa un gruppo di canzoncine
in grado di farsi ricordare, la cui soave leggerezza, la cui perfezione intrinseca non ho
trovato in nessun altro lavoro “del genere”, del 2002.
Churchbuilder simili ai Cardigans? Non direi. Sarebbe un complimento esagerato per il
gruppo della Persson, che resta un gruppo solo discreto. Farei piuttosto i nomi di
Saint Etienne, Sundays e Girlfrendo. E se anche la somiglianza sussistesse, quanto i
Cardigans debbono ai conterranei Eggstone, sarebbe materia da non potersi esporre in
questa pagina di Word. Se non si fosse compreso: Churchbuilder è il disco pop dell’anno,
assieme a quello di Birdie (“Triple Echo”), due atti d’amore per Bacharach che non potrebbero
esprimere più devozione. Datecene ancora, di questi dischi.
Musica splendidamente passionale, da far ascoltare a chi più amate.
Fabio

Non scherziamo, i bardo pond hanno forse qualche buona idea ma non sanno assolutamente suonare.
Fidatevi di me che li ho visti pure dal vivo (aprivano per i Mogwai)
Giorgio

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