Bonnie Prince Billy - Ease Down The Road (Domino, 2001)

Lo adoro. Io adoro Will Oldham. Ogni sua singola canzone è un capolavoro di fragilità e dolcezza, come la sua stessa voce sempre stonata nel vero senso della parola e gli strumenti spesso accarezzati da mani leggere e spesso appartenenti a nomi illustri. Ease Down The Road è forse il suo disco migliore, o quasi. Tutta la sua discografia (a parte forse la mezza delusione di Joya) è a livelli mai raggiunti da nessun cantautore nella storia della musica (eccetto Neil Young e pochi altri forse), quindi è difficile decidere quale disco sia migliore dell'altro. Ma qui siamo veramente in territori divini. La sua musica non è affatto originale, il suo "neo-country" prende a piene mani dalla tradizione americana folk, ma non mi sbilancio se metto Oldham al livello dei grandi nomi del passato se non meglio. A differenza che nel precedente "immenso" I See A Darkness qui non è la disperazione a fare da sfondo, ma soltanto una ben definita malinconia protesa verso una certa speranza. I suoi testi sono i soliti quadretti che parlano di amore, sesso, vita e morte e mai come adesso un pezzo come After I Made Love To You è capace di spiccare tra le migliori canzoni di tutta la produzione mondiale di tutti i tempi senza esagerare. Ottimi gli arrangiamenti, meno minimali che in passato, e i controcori (Just To See My Holly Home e Beak Of Day sono perfette) sono curatissimi e forse per la prima volta più che un disco "solista" di Will Oldham, questo può apparire come il prodotto di una vera e propria band. Solo lui (loro, ma ogni disco più o meno cambiano tutti...) nel 2001 può permettersi di suonare banjo e chitarre slide. Ed è meglio così. Ho parlato di ospiti illustri. Tra tutti, oltre al quasi sempre presente fratello Ned, il fondamentale (storicamente parlando) David Pajo alla chitarra, Jon Theodore (Royal Trux, se non ricordo male) alla batteria e Harmoni Korine ai cori. Chi è? Oltre che essere il fidanzato della bella Chloe Sevigny è conosciuto al mondo come sceneggiatore e autore di Kids (da vedere, se vi manca) e Gummo (nauseantemente e cinicamente bello, ma se amate i gatti evitatelo). Le grafiche di Jeremy Devine (della Temporary Residence) sono sicuramente le migliori tra la miriade di dischi che il nostro amico di Louisville ha sfornato in poco più di sette anni. Se avete un cuore (capace di soffrire), compratelo.

dio santo...after i made love to you NON è la più bella canzone
mai scritta ma è la seconda canzone più bella mai scritta dopo
i see a darkness(...love for everyone i know...)a parimerito
con trailer trash (modest mouse) e over jordan(papa m)...
no depression? no grazie!
Pedro

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Bonnie Prince Billy - Master And Everyone (Domino, 2003)

“L'inedia innalzata a forma d'arte - dice lo Scaruffi - ha un fascino che dura poco. Nick Drake aveva (anche) delle buone canzoni. Oldham ne ha veramente poche. Semmai ha delle buone liriche. Ma non si puo` costruire una carriera musicale sui testi”. Will Oldham sembra aver preso già da parecchio una strada senza ritorno, perciò o lo si adora come sempre si è fatto, oppure, di fronte a nuove sonorità e trend, acquistare l’ennesimo disco del principe del solipsismo, per alcuni comincia a diventare una forma di affetto verso il personaggio o peggio una forma di abitudine, ma poco altro. Io tuttavia rimango dell’idea di trovarmi di fronte a uno dei più grandi cantautori americani (viventi e non). E sin dalla copertina (paura!) questo Master And Everyone mostra di essere un’opera che possiede i caratteri del classico, un’opera che tireremo fuori tra i prossimi vent’anni. Le solite, semplici, grandi canzoni nate da un impellente e ostinato bisogno di raccontarsi, si fanno qui più cristalline, più pure e solenni, complici Tony Crow, con “soffici”, rari e impercettibili inserti di tastiera, e il tocco in sede di registrazione di Mike Nevers, entrambi fautori di quella conversione “al silenzio” dell’ultimo Lambchop. Là (in apparenza) solo piano e voce, qui (in apparenza) solo voce e chitarra acustica (stridolii compresi): sentimenti messi ancora più a nudo, se possibile.
One, two, three, four... Si sente appena la flebile voce di Oldham che inizia con la bellissima The Way, ossia la via per amare Will come lui ama te. Si può pregare prima di addormentarsi o mettere su un disco suo. Non cambia nulla. Dopo ci si sente sempre un pochino meglio. E’ sempre brutto fare dei paragoni (specie con lui), comunque sia, penso che Master And Everyone sia un pelo più ispirato rispetto a Ease Down The Road (nonostante quello contenesse un pezzo, da mettere su un giorno sì e l’altro pure, come After I Made Love To You ). Diciamo che se I See A Darkness rimane il suo capolavoro, questo è il suo album più maturo e consapevole. Forse con meno pezzi da capogiro (basta Hard Life, fidatevi), ma sempre degno della massima considerazione.
Ma che ve lo dico a fare, tanto voi adepti di Oldham ormai non le leggete neanche le sue recensioni: comprate a scatola chiusa. E fate bene.

i see a darkness.
punto.
cha allo scaruffi i soli testi non bastino può anche passare, ma non sarà certo
la complessita musicale a definire il livello di un musicista nella graduatoria
(oddio che terrore, le graduatorie!)o nella classifica dei "migliori", classifica
che sembra tanto cara al tuttologo e che è fondamento del suo approccio alla musica
(catalogare e mettere in scala, con la musica, è odioso).
una nota basta, se vuoi dire qualcosa.
bonnie prince billy dice, ma non sono parole leggere, sono coltellate nella schiena,
canzoni che ti atterriscono, nebbie lontane dove le figure si perdono indistinte.
bonnie prince billy no apre mondi nuovi, ma propone una visuale inedita da cui guardare
le cose, ossessiva, come è ossessivo il dolore che si racconta.

i testi bastano, se i testi "cantano";i primi album di fabrizio de andrè erano
musicalmente non ricchissimi, ma per lui, come per bonnie prince billy, la musica
contiene il concetto, la musica contiene il sudore e la rassegnazione.
questo, per chi considera la musica veicolo di emozioni, può bastare.
gli schiaffi si danno anche con le parole, come le carezze, come l'arrivederci,
come l'ultimo addio.
bonnie prince billy E' musica, tutto quì.
Davide

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Bonnie Prince Billy - Sings Greatest Palace Music (Domino, 2004)

O della trasfigurazione. L’uomo con i mille nomi, che per anni è sfuggito alla responsabilità di presentarsi col proprio per poi cedere per poco e di nuovo nascondersi, ribattezzandosi ancora.
Colui che ha saputo mettere in musica Faulkner alla maniera di Carver: Il Dylan della sua generazione (del quale saggiamente non ha mai ripreso alcun brano, preferendogli altre e meno ovvie riscritture di repertori altrui).
Un "Best of" di brani reinterpretati e rearrangiati ex novo con la crema dei musicisti di Nashville: te lo dicessero così, penseresti a uno scherzo simpatico ma di gusto dubbio.
Invece no: è un disco riuscito, elegante e classicamente americano senza suonare né retorico né scontato (chi pensava che la ricchezza –misuratissima- degli arrangiamenti potesse nuocere alle canzoni di Will Oldham si dovrà ricredere). Alcune tra le migliori canzoni di Will sono arrangiate in stile country nashvilliano e prodotte da Mike Nevers dei Lambchop: fiati, violini, cori, slides; niente è fuori posto, nulla troppo o troppo poco. Will rilegge se stesso lungo la sua carriera, calandosi in sonorità corpose ed elaborate (si dovrà tuttavia notare come l’arricchimento delle canzoni sia già iniziato da qualche album in qua, seppur mai in maniera così netta), si "classicizza", lui che del country e della musica popolare del suo paese ha sempre saputo fuggire gli stereotipi più vetusti e triti. Rimanendo però sempre se stesso: ed è allora che ad emergere è il repertorio, le Canzoni. Nell’epoca (già al tramonto?) del puro suono, la grandezza somma della scrittura si erge intatta.
Come se Will, per l’ennesima volta fedele a se stesso, avesse sentito la volontà di giocare con noi (e con se stesso) inventando un’altra maschera artistica (una "persona"...), ingannandoci per fare la mossa più inaspettata. La Canzone, non chi la canta.
Solo il prossimo disco potrà dirci se si è trattato di qualcosa di temporaneo o di una nuova fase artistica. Per adesso è gloria, quella vera.

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