Sodastream - Looks Like A Russian (Tugboat, 2000)

E' buffo... Ma questa band si è data lo stesso nome di un originale elettrodomestico che aveva mia nonna e che serviva a rendere frizzante l'acqua del rubinetto (o a far esplodere la cucina se, al posto dell'acqua, si fosse usata la Coca Cola).
Qui, musicalmente parlando, di frizzante c'è poco, ma ciò non costituisce necessariamente un difetto.
Avete presente i Belle & Sebastian? Ecco, immaginateveli intenti a suonare brani di Will "Palace" Oldham e potrete farvi una vaga idea di questi Sodastream, gruppo australiano al suo esordio dopo l'EP Practical Footwear.
Looks Like A Russian è un piccolo gioiellino di pop sopraffino (la rima non è cercata...), un disco cupo, malinconico, a momenti veramente trascinante ed emozionante (Fitzroy Strongman) e, cosa importante, mai tedioso (come qualche uscita dei Red House Painters per intenderci...), nonostante il tono monocorde.
Musica in bianco e nero dunque: copertina anni '60 semplicemente deliziosa, buona vena compositiva e canzoni disarmanti: è questa la loro ricetta magica.
Sodastream non è altro che un nome che cela un duo: Karl Smith (voce e chitarra acustica) e Pete Cohen (basso), circondati per l'occasione da una serie nutrita di ospiti.
I brani, esclusivamente acustici, si snodano in delicati passaggi chitarristici (Able Hands, Meals) accompagnati da contrabbasso (40 Days), viola (Done With Everything e God In The Cornerstore), tromba (Song In Uniform), fisarmonica (Excuse Boots) e didjeridoo.
Il suono rimane sempre sospeso, mai sovraccarico, in certi tratti addirittura fragile e più rarefatto senza però mai raggiungere quell' irregolarità formale (leggi: impagabili stonature) tipica del suono di Oldham.
Nient'altro da aggiungere, se non che ora i B&S dovrebbero guardarsi le spalle: evidentemente il New Acoustic Movement passa anche dall'Australia.

Il disco dei, o di, Sodastream è una traglia clamorosa, come fate
a cascarci, e così mille altri... i dischi belli sono pochi cari miei... salut!
Giacomo

Non so cosa sia una traglia Giacomo, e non ho sentito il disco, ma dal vivo
i sodastream hanno emozionato tutto il pubblico presente al concerto di ieri
sera a perugia.
Diego

non so,non so come definirli ma da un primo ascolto mi sembrano qualcosa di
fantasticamente meraviglioso.
dopo il secondo ascolto vi faro' sapere qualcosa di piu'.ciao
Carmine

Il problema della gente che ascolta, anzi ascolta poca musica è che non ha
la pazienza di sentire più di una volta un album etichettandolo subito...cmq
il 27 aprile andrò a sentire i sodastream a firenze vi sapro dire. ciao a tutti
Paolo

il disco dei sodastream questo recensito e il successivo sono due CAPOLAVORI !!!
Maurizio

Secondo me è uno dei dischi più interessanti e piacevoli di questi ultimi tempi che
spesso ci riservano solo un mucchio di cazzate. Quella dei Sodastream sembra la
musica che viene dall'anima e che ti riempie nel profondo del cuore.*****
Steno

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Sodastream - The Hill For Company (Rough Trade, 2001)

Nonostante, con tutte le sue buone ragioni, qualcuno abbia definito Looks Like A Russian una traglia clamorosa, quel dischetto mi tiene ancora compagnia. E' vero, anche qui nel seguito Pete Kohen e Karl Smith sfornano pezzi che al primo ascolto paiono tutti uguali, ma questo discorso allora varrebbe anche per il 'piccolo principe' Will Oldham, che pure ho sempre adorato (incidentalmente faccio presente che il suo album meno riuscito e deboluccio secondo molti è per me tra le cose più toccanti mai sentite, mi riferisco a Joya del '97). Ci sono sonorità nelle quali la fragilità delle composizioni conquista piano piano e The Hill For Company in tal senso non delude, confermando quanto di buono era stato detto nell'esordio. Forse qui l'atmosfera che si respira è (se possibile) ancora più intimista e libera da pesanti eredità (e dovreste sapere a chi mi riferisco). Difficile dunque non emozionarsi davanti a tremolanti vocalizzi che salgono e scendono e non hanno paura di steccare (Lushington Hall) oppure agli stridolii acustici di una chitarra appena imbracciata (Mood In The Bunker). O ancora all'irresistibile refrain acustico di Fresh One. Tutto ciò è condito, come di consueto, da violoncello, tromba, piano e spazzolate di batteria, sempre in sordina. L'approccio, il modo di rapportarsi alla musica più che il risultato (pur lodevole), è questo ciò che piace dei Sodastream. Anche se forse non hanno ancora scritto la loro canzone perfetta, ad ogni brano ci vanno vicino (l'esempio è Another Trial, dedicata a chi non può fare a meno degli Smiths), trasudando sempre sincerità e malinconia nelle loro tessiture tanto plumbee quanto svolazzanti.
Da ascoltare davanti a un caminetto acceso.

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Sodastream - Between In Times EP (Acuarela, 2001)

Questo mini per la label Acuarela sembra condensare in un quarto d'ora la natura fragile ed emotiva che caratterizza i Sodastream. E' qui che si apprezza ancora di più l'imperfetta e perciò magica voce di Karl Smith: quattro brani che arrivano a toccare l'apice del talento compositivo della band australiana. Sister Night ha un ritmo magistrale, la chitarra acustica padroneggia con uno stile unico sia in Record che in Sunday. Basta un ascolto per innamorarsi di questi pezzi, ci si può perdere in questi fantastici arpeggi. Semplicemente incantevole è la finale Varkhala: una canzone semplice semplice che crea un'alchimia fluida e scorrevole. Quattro brani suonati e concepiti con grande naturalezza che trasmettono sensazioni dolcissime velate di malinconia, le stesse che ci sfiorano quando rimuginiamo sui nostri momenti passati più felici, le stesse che ci tengono alla larga dalla depressione. Se vi piacciono i loro due album qui recensiti, il mini in questione è semplicemente imperdibile. Ancora più bello, ancora più intimo, ancora, se possibile, più sincero. Un assaggino che non riesce a portarsi a casa cinque stelle per un soffio. Mica da tutti.

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Sodastream - A Minor Revival (Logo/Self, 2003)

I Sodastream dal vivo sono un'esperienza che vale la pena provare, fosse solo per la simpatia e l'umiltà del duo Smith/Cohen (ora la band si è allargata con l'ingresso stabile del batterista Marty Brown). Chi ha seguito la band australiana ed è stato in qualche modo rapito dalle sue fragili e delicate melodie difficilmente rinuncerà all'emotività, questa volta più 'compiuta', di A Minor Revival. Certo, qualche chitarra elettrica in più (l'iniziale e canticchiabile Out ha fatto breccia nel cuore di più di una ragazza...), la tromba di Blinky (pezzo che strizza in qualche modo l'occhiolino, anche se non troppo, ai Belle And Sebastian più spensierati) o gli arrangiamenti ed il mixaggio più curati, non scalfiscono uno stile ormai consolidato. Eppure - o forse proprio per questo - il disco è semplicemente imperdibile. C'è sempre quella velata malinconia che avvolge ogni singolo brano senza mai portare l'ascoltatore allo scoramento. Brass Lines (insieme ad Another Trial, presente nel precedente The Hill For Company) è quanto di meglio la band abbia saputo partorire in questi anni (quasi un omaggio all'Italia, considerato che la band ha fatto una lunga tournèe da noi e che Pete Cohen parla abbastanza bene la nostra lingua...garantito). Chorus Lines e il pianoforte di Horses rendono la parte centrale dell'album quasi rarefatta, mentre la filastrocca più ritmata di Undone porta la voce di Karl Smith ad un passo dalla steccata, come il saliscendi di Constant Ships. La voce, dicevamo, quasi un marchio di fabbrica per la band australiana: debole, monocorde ma quantomai espressiva; insomma, una delle più romantiche che oggi si possano trovare in circolazione. America parla di un biglietto di sola andata nel paese della cuccagna per incontrare la donna dei sogni. I toni agrodolci del lavoro trovano un'ottima sintesi in Otherwise Open, dove accanto a Karl figura la corista Silvana Del Bene.
Tanto per farvi capire il distacco con cui ho scritto questa recensione, vi posso dire che il disco è parcheggiato nel mio stereo da settimane.

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