Mercury Rev - Boces (Beggars Banquet, 1993)

Secondo disco per questa grande band, dopo l'esordio Yerself Is Steam, che conteneva il mitico singolo Chasing A Bee; ricetta: emozioni immerse in suoni agrodolci e testi nonsense, il tutto mescolato con perizia e quel pizzico di pretenziosità che non guasta mai in un gruppo di questo tipo, non per niente Jonathan Donahue ha suonato in Hit To Death In The Future Head dei The Flaming Lips e Dave Fridmann li ha prodotti ultimamente. Canzoni dalla lunghezza variabile tra i tre ed i dieci minuti, intriganti ed a volte irritanti, portano l'ascoltatore ad immergersi in questi suoni di trombe, flauti, chitarre con una splendida distorsione noise-pop. L'intero packaging poi è caratteristico: copertina in stile Jacovitti, booklet con frasi sparse e foto alchemiche, una "push side" e una "pull side", master originali registrati su nastro 35mm per film; tutto ciò contribuisce a tollerare qua e là qualche lieve caduta di tono, come il brano finale in stile Tom Waits sbracato e irritante/estenuante. Un buon disco, con ottimi pezzi come Something For Joey e Bronx Cheer, peccato che la band abbia cambiato stile nel disco successivo, abbandonando la fase più sperimentale per suoni più "omologati".

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Mercury Rev - The Secret Migration (V2, 2005)

Ammonisce la saggezza popolare che non si deve mai giudicare un libro (nella fattispecie un disco) dalla copertina. In questo caso, immagini e grafica di The Secret Migration e il loro – almeno per me - deleterio corteggiare il progressive possono fuorviare, inducendo a scartare a priori un disco inferiore a quelli che lo hanno preceduto, ma che regala suggestioni e canzoni bastanti a giustificarne l’acquisto.
Prodotto ancora una volta in maniera eccelsa da Dave Fridmann, Il nuovo lavoro della band di Buffalo prosegue per la maggior parte lungo la linea stilistica intrapresa da Deserter Song, quella cioè d’un complesso ma equilibrato caleidoscopio dove riecheggiano folk, accenni di musical, intrusioni acid-pop e cantautorali. Come The Band o Neil Young sul set di un remake Disney di Yellow Submarine, magari con la partecipazione di Van Dyke Parks e Brian Wilson (o Phil Spector...): estatico, favolistico folk moderatamente psichedelico, poggiato su fondali d’archi maestosi ma non magniloquenti, graziato da un senso melodico spiccato e mai banale.
Qualche piccolo cambiamento però si fa sentire: soprattutto un maggiore peso della sezione ritmica e delle chitarre a volte più in evidenza rispetto al passato, senza peraltro che si raggiungano gli apici di elettricità e d’impatto che la band ha dal vivo.
Il livello di scrittura, ed ecco le novità negative, è però in alcuni episodi sotto tono: alcuni brani sono infatti involuti, racchiusi in un bozzolo da cui stentano a uscire, soffocati dalla pienezza degli arrangiamenti oppure orfani di uno sviluppo melodico adeguato. Canzoni che farebbero buona figura nel repertorio di molti, certo, ma indubbiamente al di sotto dello standard a cui la coppia Donahoue-Grasshopper ci ha abituato (e forse il problema è anche lì...). Vale la pena ribadire, a onor del vero, che i due terzi abbondanti della scaletta sono fulgidi esempi della classe dei Mercury Rev: vertici ne sono ad esempio In A Funny Way (toh: Spector che produce Pet Sounds...), la tumultuosa e al contempo slanciata Arise, Across The Ocean e The Climbing Rose leggiadre ma non stucchevoli, l’incalzante In The Wilderness (che sorprende regalando più di un sentore della Sensitive che fu dei Field Mice...), la – quasi - conclusiva First-Time Mother’S Jey (Flying) che è quintessenza di White Album.
The Secret Migration soffre in fondo della classica sindrome del disco "di transizione" (avercene però, di questo livello!): è un Giano bifronte rivolto verso il passato recente del gruppo e contemporaneamente in cerca di nuove strade, al momento affrontate con discrezione e cautela.
E’ ovvio che solo le prossime mosse dei suoi artefici potranno sciogliere in modo definitivo l’arcano portatoci in dote da quest’opera, che è misteriosa e affascinante, ma anche scostante, come la maggior parte delle persone che amiamo di più.

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